Conoscete la linea ferroviaria jonica, appena sporcata del sangue di due bambini di sei e dodici anni? (Scusate se uso questi termini, che fanno pensare a una vera ferrovia e non a dei binari nel vuoto che manco il far west al tempo degli indiani). Voglio solo togliere ogni dubbio: non è una disgrazia, è omicidio; in senso impersonale, l’assassino sono le istituzioni, che hanno dimenticato i loro doveri su quei territori; in senso personalizzato, i caini di quegli innocenti sono tutti coloro che hanno gestito le ferrovie, la spesa pubblica per i trasporti nei decenni che hanno visto (e vedono) il Paese rastrellare montagne di miliardi da bruciare in mazzette da primato mondiale e alta velocità solo in poche regioni, condannando il Mezzogiorno al binario unico ottocentesco, senza sicurezza, né tutele, con treni da museo, linee non elettrificate, corse tagliate e quelle residue così scomode e aleatorie, da dissuadere chiunque dal farne uso. In modo che i delinquenti (nel senso di ladri e assassini) possano poi dire: «Non ci si investe, perché non c’è domanda».
Ci passano ancora le littorine a gasolio, sulla jonica, roba che quando l’allora capintesta Renzi fece la sua pagliacciata (una delle tante) del giro d’Italia in treno, andandosi a prendere meritati fischi e insulti quasi ovunque, per trasportare i cinque vagoni della sua corte dei miracoli a Crotone, si dovettero fare due viaggi, ché la sfiatata littorina, l’intero convoglio di cinque carrozze (uuuh: cinque!) non ce la faceva a trainarlo. Un amministratore, vista la cosa, avrebbe dovuto chiedere perdono e agire a tempo di record per sanare quella situazione e renderla almeno accettabile oggi. Invece, le vagonate di miliardi continuarono a prendere l’alta velocità per le tangenti del Nord (a titolo di ripasso: al Mose, per ogni euro speso in lavori, se ne rubano due in corruzione; la metropolitana di Milano, a chilometro, costava cinque volte più di quella di Amburgo; poi Mani Pulite portò in galera la dirigenza e le cose migliorarono di un po’).
Tutto dà il senso dell’abbandono sulla linea jonica, del rifiuto di questa terra da parte del Paese, della negazione di servizi, rispetto, utilità di alcun genere. I binari passano in un deserto di sterpi, tagliando la spiaggia, le fiumare e le dune e chiudendo l’accesso al mare; in tal modo (aggiungeteci la litoranea a ciglio costa), lo spazio per il turismo è stato distrutto e reso vano: verso monte hai case ammassate a stile libero incompiuto lungo la strada; verso mare non si può costruire, ma qualcuno lo ha fatto ed è stato fermato, donando così al paesaggio monumenti del nuovo dismesso che nasce già in stato di macerie, perché il degrado chiama altro degrado che viene addossato a chi da vittima ne diviene autore, spiega la psicologia sociale (il noto fenomeno emulativo “delle finestre rotte”). Così obbligando a raggiungere la riva per sottopassi spesso ricettacoli di rivoli e monnezza, o attraversando i binari senza protezione, fra sterpaglie e sassi che ti graffiano i polpacci. Tanto, il treno quando passa di qua… Già, ma talvolta passa.
Il golfo di Taranto è uno dei tratti di costa più belli del mondo (non detto da me che ci sono cresciuto); qualsiasi Paese ne farebbe fonte di ricchezza, lavoro, orgoglio. Ma andrebbe reso almeno raggiungibile. Invece, non ci sono autostrade; la superstrada è in costruzione (basta ridere!) da quando ero bambino io, quindi, più di 60 anni e ogni tanto c’è un ministro cialtrone che annuncia stanziamenti per ulteriori tot centimetri di avanzamento, salvo poi fregare con la sinistra i soldi promessi con la destra (avete presente i fratelli De Rege Renzi e Delrio che dichiarano “finita” la Salerno-Reggio Calabria, con 70 km, i peggiori, ancora com’erano e su cui, a corsie alternate, un paio di mesi fa, in un frontale, sono morte altre quattro persone, mentre una mamma e i suoi due bambini sono finiti in terapia intensiva?); non ci sono aeroporti; i treni sono quelli di cui parliamo e da Reggio Calabria arrivi prima in aereo a New York, che in treno a Bari. E devi pure sentirti dire da uno Zaia qualsiasi o altri leghisti del cavolo, che i terroni non sanno sfruttare il turismo, magari detto mentre rubano a Campania e Puglia, per dirottarli in Lombardia e Veneto, persino i soldi stanziati per le case popolari.
Ma 1.800 milioni sono stati buttati per un treno superveloce che farebbe (sulla carta, di fatto no) guadagnare 15 minuti sulla tratta già più veloce d’Italia, la Milano-Roma; mentre la Corte dei Conti europea chiede come cavolo fa l’Italia a far costare l’alta velocità da 7 volte in su, a km, rispetto agli altri Paesi (Francia, Spagna…; ma anche Stati Uniti, Giappone); mentre…
No, non prendiamoci in giro: quei bambini non sono morti per una disgrazia, sono stati uccisi. E voi, banda di corrotti e rassegnati “al sistema”, non cavatevela dicendovi che “tanto altri al mio posto avrebbero dovuto fare lo stesso, perché o ti adatti o te ne vai”. Qualcuno dice no. E noi, che abbiamo visto da sempre tutto questo e lo abbiamo tollerato, forse accettato, comunque non avversato, e se sì, non tanto da cambiare le cose; noi amministratori locali, rappresentanti di queste terre in Parlamento, nei partiti, noi giornalisti, noi “classe dirigente locale” e “nazionale”, noi cittadini indolenti e indifferenti o stanchi e muti, complici con il nostro rifugiarsi in “è sempre stato così, non cambierà mai” (vero, finché non decideremo di lottare perché o cambi o cambi, finché non cambia), noi… Una giovane donna mi ha domandato, due giorni fa, a Scilla, dopo la conversazioine in pubblico sulla Questione Meridionale: «Chi ha più colpa, chi fa il male o chi nnon impedisce che sia fatto?». Le ho chiesto cosa voglia fare: laureata, pensa di diventare magistrato. Non so come si chiami, la esorterei, lei calabrese, a occuparsi di questa vicenda, da cittadina con quella vocazione e a trasformare quella sua passione civile in impegno, lavoro sociale. A lei, come a tutti. Ascoltiamolo il vecchio Faber, nella Canzone del Maggio: anche se noi ci sentiamo assolti, siamo lo stesso coinvolti.
E colpevoli. Siamo noi, ognuno nel suo grado di responsabilità, ad aver ucciso quelle creature che, da Milano, andavano a immergersi nel “mare degli dei” che ci hanno abbandonato.