L’ESEMPIO DE “IL FOGLIO” CHE SPACCIA LUOGHI COMUNI PER “INFORMAZIONE”
Una incredibile sintesi (a farlo apposta non ci si riuscirebbe) dei luoghi comuni sul (contro) il Sud, a dispetto di ogni verità, dato, documento (più difficile spaccare un pregiudizio che un atomo, diceva Einstein) ha visto purtroppo la luce su “Il Foglio”, giornale che predica l’efficienza, ma senza decine di milioni di finanziamento pubblico non esisterebbe, considerata la sua diffusione. E se non fosse per il valore in negativo dello scambio di banalità fra lettore e direttore, non varrebbe la pena turbare la vita degli umani facendo loro apprendere che “Il Foglio” c’è e costringerli a una domanda senza risposta: “Perché?”. Ecco il prezioso sciocchezzaio epistolare:
LETTERA AL DIRETTORE (DEL SUD)
“Al direttore – Rompendo un lungo e surreale silenzio, il Mezzogiorno è tornato nuovamente agli onori della cronaca grazie alla crisi di un grande polo industriale, a uno scandalo bancario, a una bizzarra polemica contro il presunto egoismo di Milano. Non c’è da rallegrarsene. Il meridionalismo migliore – quello di Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini, solo per fare due nomi – ha sempre saputo analizzare le ragioni profonde del suo ritardo e le responsabilità della sua “borghesia lazzarona”, che prosperava nelle pieghe del sottopotere. Cosa rimane oggi di quel meridionalismo? Molto poco, se non qualche piagnisteo neoborbonico sui fallimenti del mercato e sulla “secessione dei ricchi”. Al contrario, andrebbe ammesso senza ipocrisie che l’intervento pubblico nel sud si è trasformato da soluzione in problema. Livelli di spesa svedesi e civismo latinoamericano si sono convertiti in una macchina del consenso che ha oliato gruppi affaristici e consorterie partitiche, burocrazie amministrative e clan criminali. Clientelismo e assistenzialismo hanno così foraggiato una coalizione della rendita parassitaria e un “capitalismo politico” che spiazzano chi vuole operare correttamente sul mercato legale. Il Mezzogiorno, quindi, va liberato da un sistema di incentivi che ha distorto profondamente la sua crescita economica e i processi di selezione delle classi dirigenti locali, e che tutto ciò che offre ai ceti più forti in convenienza lo toglie alle giovani generazioni in opportunità di vita. Deve invece poter contare su uno stato impegnato nelle sue funzioni essenziali, e solo in esse: amministrare la giustizia, garantire la sicurezza dei cittadini, fornire servizi sanitari ed educativi decenti, infrastrutturare il territorio. Deve dotarsi, inoltre, di quelle capacità progettuali che sono indispensabili per utilizzare con profitto i finanziamenti europei nei campi dell’innovazione tecnologica e del risanamento urbano. A Napoli come a Bari e Palermo non mancano le energie imprenditoriali, sociali e intellettuali pronte a raccogliere questa sfida. Ma devono essere aiutate da Roma ad aiutarsi da sole, certo non mediante sostegni al reddito e pensionamenti anticipati elargiti a fondo perduto in un mercato del lavoro stagnante. Uno spreco enorme di risorse della collettività, destinato a rinfocolare quei sentimenti di stanchezza e sfiducia che sono dilagati dopo decenni di retorica meridionalista. In questo senso, non promette nulla di buono che il governo rispolveri la vecchia logica dei piani e provvedimenti straordinari, ancorché chiamati contratti di programma e contratti di rete. Infatti, “il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali” (Antonio Gramsci, “Il grido del popolo”, aprile 1916). Michele Magno“
Dal direttore, ti aspetteresti una risposta magari attutita, per non perdere un lettore (finalmente la prova di averne uno…), ma che opponesse qualche evidenza a una sequela di luoghi comuni che capovolge la realtà e di cui il lettore si evince che è convinto siano verità, trovandoli ovunque, dai libri di storia sabaudisti a quelli dei cattedratici in “Tutta colpa del Sud”. Invece, più misurato il lettore che il direttore nella raffica di banalità da bar sport di Ponte di Legno. Ecco cosa scrive:
RISPOSTA PEGGIORATIVA
“Tutto giusto ma con un appunto. I problemi del Mezzogiorno, in realtà, non sono problemi che riguardano il Mezzogiorno ma sono problemi che riguardano tutti quei pezzi d’Italia che ogni giorno si rifiutano di fare i conti con i guai del nostro paese. Non esiste una strutturale Italia a due velocità. Esiste un’Italia che accetta la concorrenza e una che invece la teme. Esiste un’Italia che scommette sulla produttività e un’altra che invece non ci scommette. Esiste un’Italia che combatte il nanismo industriale e un’altra che invece lo alimenta. L’Italia a due velocità non è quella che vive nel confronto tra nord e sud ma è quella che vive in un altro confronto: tra settori che accettano la sfida della globalizzazione e settori che invece si difendono dalla globalizzazione”.
QUANDO SI CITANO A METÀ I PADRI MERIDIONALISTI…
Ora, il lettore cita (giustamente) cosa dicevano Salvemini e non solo sulla “borghesia lazzarona” meridionale che campa(va) di sottopotere. Ma dimentica di citare la borghesia “prenditoriale” del Nord che pure Fortunato (“Sono più porci dei peggiori porci nostri”), Salvemini e tanti altri storici meridionalisti condannavano. E si sorprende, il lettore (i cui cognome è diffuso in Puglia, Sicilia, Campania e, forse per emigrazione, in Lombardia) di “una bizzarra polemica contro il presunto egoismo di Milano”. Caspita, dice di conoscere i meridionalisti storici e gli è sfuggito quello che (specie Salvemini e Ciccotti) scrivevano di Milano già un secolo fa? Di “quel meridionalismo” (cui forse dovrebbe dedicare più attenzione) resta, secondo lui, “qualche piagnisteo neoborbonico sul fallimento del mercato e sulla ‘secessione dei ricchi’”. Ma davvero? La “polemica” su Milano è in realtà, una osservazione più che ovvia: prende e non “restituisce”, basti vedere uno dei primi provvedimenti della società Expo 2015, che servì a inondare Milano e Lombardia di miliardi di tutti gli italiani: escludeva dagli appalti tutti i fornitori oltre un raggio di 300 km. Solo per intervento dell’Autorità europea della concorrenza, cui Expo era stata denunciata, la schifezza fu corretta. E “la polemica” nasce da una dichiarazione del ministro al Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, vice direttore della Svimez, nota associazione neoborbonica; la petizione sulla “secessione dei ricchi” è stata lanciata dal professor Gianfranco Viesti, economista, dal professor Vito Tanzi, dirigente del Fondo monetario internazionale e docente di economia all’università di Washington, firmata da decine di accademici, economisti, storici; è pure sorto uno speciale “Osservatorio” con i maggiori economisti e costituzionalisti italiani presso l’università Federico II, sulla “secessione dei ricchi” (uno dei primi a dar l’allarme sulla rivista giuridica de “Il Mulino”, di Bologna, fu il professor Cammelli, decano dei nostri giuristi). Tutti neoborbonici e piagnoni e manco ce ne eravamo accorti.
IL VINTO HA SEMPRE TORTO, IL VINCITORE HA SEMPRE RAGIONE, È INTELLIGENTE, ONESTO, BRAVO…
Se il lettore Magno ha preso in mano qualcuno dei libri di cui cita gli autori, come diavolo fa a scrivere di “livelli di spesa svedesi e civismo latinoamericano” al Sud? Dell’esclusione del Sud dagli investimenti pubblici documentata da Francesco S. Nitti (per citarne solo uno) ai bilanci dei Conti pubblici territoriali, ente statale (ogni anno, dimostra, sono sottratti al Mezzogiorno almeno 61 miliardi, dirottati al Nord) si certifica la ruberia ininterrotta a danno del Meridione. I livelli di spesa svedesi dove li ha visti? Magari fossero quelli: non al Sud, al Nord! In Svezia un km di ferrovia non costa sette volte (e alcuni tratti quasi il doppio) in più che in Francia o Spagna, come nel Nord Italia; un km di strada non costa quasi 60 milioni a km come la pedemontana lombarda; in Svezia non finiscono in corruzione due euro ogni tre, come per il Mose di Venezia. Ma per il 34 per cento della popolazione italiana, se meridionale, lo Stato spende appena il 28 per cento e mettendo dentro anche i fondi europei, che per legge dovrebbero essere aggiuntivi; ai Comuni del Sud, contro legge (e ora sono partite quasi un centinaio di denunce per recuperare il maltolto) dà meno della metà di quanto disposto da norme costituzionali, per la perequazione.
Quanto alla “macchina del consenso che ha oliato gruppi affaristici e consorterie partitiche, burocrazie amministrative e clan criminali”, forse sarebbe bene ricordarsi in quali galere sono finiti i presidenti delle Regioni Lombardia e Veneto e perché; che in pochi mesi all’Expo ci sono state più società a rischio mafia che in mezzo secolo sulla Salerno-Reggio Calabria; e il processo “Aemilia” sulle commistioni fra ‘ndrangheta, politica e società civile ha visto oltre duecento condannati; il presidente della Val d’Aosta si è appena dimesso per presunto voto di scambio con un boss… La macchina del consenso c’è, ma per lodare il ladro e diffamare il derubato.
Mi fermo qui, per saltare all’ultima frase, di Gramsci, proposta dal lettore: “il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali”.
L’EQUITÀ NEGATA
Appunto! Esattamente quel che disse Salvemini al ritorno dagli Stati Uniti, dopo la seconda guerra mondiale. Ma il senso è il contrario: al Sud non deve essere necessaria una legge speciale per fare una scuola, una strada, una qualsiasi infrastruttura (perché su scuole meridionali deve esserci la targa: “Cassa per il Mezzogiorno”? Quelle del Nord, di più e migliori, quale cassa le ha fatte?). Per l’esattezza, come esplicitò Salvemini, le leggi dovrebbero essere nazionali e dire: prima si fanno le ferrovie ovunque, poi i treni veloci fra le maggiori città, e quindi fra quelle medie, eccetera. Senza guardare se Nord o Sud. O, se preferisce Gramsci: “una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali”. Si chiama equità, sempre negata al Mezzogiorno.
Facendo cascare le braccia anche ai monchi, il direttore Claudio Cerasa, siciliano, fa un elenco che deve aver preso chissà dove, ma che di sicuro non si riferisce all’Italia, perché se sia lui che il lettore sono terroni, dovrebbero sapere che c’è un’Italia dove fanno le autostrade e un’altra dove no; un’Italia dove c’è alta velocità e un’altra dove no; un’Italia dove ci sono tanti treni (in Lombardia più corse che in sette regioni del Sud messe insieme) e un’altra dove il treno non è mai arrivato… E così via.
Ma è grazie a questa pubblicistica che si costruisce il pregiudizio. Qualcuno ci crede (e NON puoi dargli tutti i torti) e scrive ai giornali, magari per lamentarsi dei “neoborbonici” che non hanno fatto i treni al Sud.
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2 Comments
Pasquale Ditaranto
Buongiorno Pino, ancora una volta concordo con quanto hai scritto, ma come organizzarsi per farlo conoscere agli altri? È l’unico modo che abbiamo per ottenere quel che ci spetta.
Pino Aprile
Ognuno come sa, ognuno come può. Sembra poco, è tantissimo