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SE IL GOVERNO FA VOMITARE FELTRI, FORSE PER IL SUD…

OTTIMA COSA IL MINISTERO DEL MEZZOGIORNO A PEPPE PROVENZANO, SVIMEZ

Non voglio fare l’analisi ministro per ministro, mi limito ai temi che trattiamo su queste pagine e ai voti che avrà questo governo in Parlamento (maggioranza risicata al Senato, possibili sgambetti):

1 – ministro per il Mezzogiorno, Giuseppe (Peppe) Provenzano, vice direttore dell’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, Svimez, siciliano. Meglio di così sarebbe difficile fare. A quel livello di conoscenza dell’argomento ce ne sono pochi; e alcuni sono fra i maestri di Provenzano. Il quale può offrire, più di loro, le energie dei suoi 37 anni. Preparato e battagliero, prudente. Sulla carta, le attese minacciano di essere persino troppe. Non dobbiamo dimenticare che è in un governo che potrebbe bilanciare l’attenzione (così sembrerebbe) al Sud, con concessioni all’Autonomia differenziata. Intanto, c’è uno bravo al posto giusto (se è vera metà delle chiacchiere che colano dal Palazzo, la mancata riconferma di Barbara Lezzi sarebbe avvenuta in modo burrascoso).

2 – ministro per Affari regionali e Autonomie, Francesco Boccia, pugliese, economista: una volta sarebbe stato un ministro “giovane”, con i suoi 51 anni. Si è più volte espresso contro l’Autonomia spinta (una rapina di risorse ai danni delle Regioni più povere) pretesa da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Tanto che la nomina di Boccia potrebbe far discutere molto, per l’abissale distanza fra lui e la “ministra all’Autonomia del Veneto”, che lo ha preceduto, Erika Stefani, pasdaran veneta e leghista. Davvero difficile far previsioni su cosa voglia dire questa scelta e dove possa portare.

PURTROPPO, ALL’AGRICOLTURA C’È LA BELLANOVA

3 – ministro all’Agricoltura, (purtroppo) Teresa Bellanova, 61 anni, salentina. Ha cominciato da sindacalista dei braccianti agricoli, ventenne. Come Peppino Di Vittorio, pugliese anche lui. Ma le somiglianze finiscono lì. I suoi critici la ritengono espressione e garanzia dei giganti dell’agricoltura industrializzata, a danno dei piccoli coltivatori di qualità, dei grani antichi, dei difensori degli ulivi condannati all’estirpazione in nome di un batterio sul cui potere letale ci sono, per tenersi bassi, troppi dubbi. A occhio, da Centinaio (il predecessore leghista) a lei, dovrebbe cambiar poco. A meno di sorprese che, quindi, potrebbero esser solo positive. Alle ultime votazioni, nel suo Salento, la Bellanova non fu eletta, ma le venne ripescato un seggio in Emilia Romagna.

4 – ministro a Università e Istruzione, Lorenzo Fioramonti, docente con una interessante carriera all’estero; 42 anni. Era già vice del disastroso ministro leghista Bussetti. Ne parlano bene. E dopo una ininterrotta sequenza di improponibili ministri (dalla Gelmini alla Fedeli, la “più migliore”, passando per la Carrozza e Profumo) devastatori della Pubblica Istruzione, demolitori della ricerca in generale e delle università meridionali in particolare, forse…, incrociamo le dita. Almeno sperare!

5 – ministro per la Cultura e il Turismo, torna Dario Franceschini. E possiamo mettere i Bronzi di Riace a lutto, visto come gestì il settore, quando cadde nelle sue mani: al Sud, le mamme smisero di dire “Chiamo l’uomo nero” e minacciavano: “Chiamo Dario Franceschini”. Prepariamoci al trasferimento dei templi di Paestum a Ravenna.

Mi fermo qui. Due parole sul possibile senso generale della squadra di governo: è sicuramente migliore della precedente e manco di poco; e speriamo sia un vantaggio. Ci sono persone che sanno cosa va fatto e sanno come farlo (parlo, in particolare, di alcuni temi a noi cari); la domanda è se lo faranno e se glielo faranno fare. C’è sempre il rischio della regola-fregatura della politica: per farne una destra, serve un governo di sinistra; per farne una contro il Sud, vanno bene tutti (dimostrato), ma meglio se un governo con qualche meridionale in più.

IL PD SI INTESTA L’OPERAZIONE “RECUPERO-SUD”

Il Pd pare volersi intestare il “recupero voti al Sud”, presidiando i ministeri-chiave. Operazione difficile e coraggiosa, ma che un partito deve fare; mentre il M5S dà l’idea di arroccarsi a distanza di sicurezza dalla rogna, forse puntando (se l’operazione-recupero fosse solo di facciata o fallisse) sulla possibilità di scaricare sul Pd i malumori e i risentimenti del Sud. Già, ma se ci si riuscisse… Se questo governo fa “vomitare” (la classe non è acqua) Vittorio Feltri (noi eravamo convinti gli capitasse dinanzi allo specchio), c’è il rischio che abbia davvero qualcosa di buono!

IL KAPITONE SGONFIATO È ORMANI UN’ANGUILLA

Ai margini del campo si aggira un povero cristo che grida al mercato delle poltrone, restando, sino al ridicolo, avvitato alla sua; e protestando, perché non si va al voto. Peccato che il voto per le Camere sia fissato ogni cinque anni, salvo anticiparlo per l’impossibilità di dar vita a un governo; ma in Parlamento, una maggioranza c’è. Il poverino voleva elezioni nel momento del suo massimo vantaggio, secondo i sondaggi, fregandosene dei danni al Paese in campagna elettorale permanente. Se si tornasse a votare ogni volta che un partito si vede favorito, andremmo alle urne ogni sei mesi, solo per accontentare “la fame di poltrone” del ducetto di turno. Ci sono delle regole, anche se non piacciono al Kapitone ormai ridotto ad anguilla (ha già perso quasi un quarto dei voti, nei sondaggi, in un mese e le discoteche da spiaggia sono chiuse).

MAGGIORANZA CON NUMERI RISICATI IN SENATO. FIDARSI DI PARAGONE?

Ma ce li ha i numeri questo governo? Sulla carta, sì, pur se stretti, al Senato. Però… A palazzo Madama, la maggioranza è di 161 voti. M5S (107), Pd (51) e Leu (4), arrivano a 162; ma possono contare sull’appoggio di Pierferdinando Casini&C (3), del socialista Riccardo Nencini e del senatore ex-cinquestelle di Lecce, epulso, che però vota sempre con il Movimento, Maurizio Buccarella. E si arriva a 167. Tranquilli? Gianluigi Paragone è una mina vagante: partito dalla Lega e approdato al M5S, divenuto critico in proporzione al calo dei cinquestelle e all’ascesa della Lega, con il recupero dei primi e il cedimento della seconda, potrebbe avere un ri-ripensamento, essendo più noti i fini che i principi dell’ex direttore dell’inguardabile Padania, secondo i suoi critici. Con lui ci potrebbero essere, ballerini, altri 3-4 cinquestelle pencolanti verso la Lega. Il che, se davvero votassero contro, riporterebbe pericolosamente vicini al minimo (163/161). Ma dalla Lega arrivano bordate da guerra psicologica, con “rivelazioni” su scarsi dieci senatori cinquestelle pronti a passare ai verdi padani. Il governo nascerebbe morto. Poniamo ci sia qualcosa di vero; per intimorire il nemico, esageri. Quindi i possibili senatori migranti (se veri) potrebbero essere 3-5: gli stessi di Paragone. E magari proprio gli stessi, cui Paragone, ex leghista e cinquestelle a tempo determinato (?) farebbe da traghettatore. In tal caso, la maggioranza ci sarebbe ancora; se no si aprirebbe il baratro e sarebbero importantissimi il voto di Emma Bonino, contraria; e quelli di tre ex cinquestelle del Gruppo Misto (De Bonis, De Falco, Nugnes).

Ci sono governi che hanno fatto cose enormi con maggioranze ancora più limitate. Quando a Churchill (era lui?) fecero notare che ne aveva una di soli due voti, rispose: “Uno più di quel che serve”.

(E ti pareva che non veniva fuori quello che ti dice: “Appunto, ma era Churchill”?).

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