FINALMENTE TRADOTTO E OUBBLICATO IL LIBRO DI OSCAR DE POLI, DOPO 156 ANNI
Pontelandolfo e Casalduni sono i due paesi del Beneventano rasi al suolo dalle truppe sabaude e divenuti emblema e sintesi del genocidio e dei metodi coloniali con cui fu condotta la guerra di annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna, per far nascere, secondo i progetti della Gran Bretagna, lo Stato nazionale chiamato Italia (il dilagare della civiltà industriale li andava imponendo in tutto il mondo). Non accadde nulla di diverso da quanto succedeva dagli Stati Uniti al Giappone, ma ancora oggi, c’è chi prova a negarlo (Antonio Gramsci già un secolo fa dette il giusto nome a tali divulgatori di versioni “antiche e accettate”), a dispetto di montagne di documenti, resoconti di testimoni, giornali stranieri, parlamentari italiani del tempo, risultanze demografiche e persino del messaggio di scuse, a nome dell’Italia, dell’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che fu letto, il 14 agosto 2011, anniversario della strage. da Giuliano Amato, presidente del comitato per le celebrazioni del 150mo dell’unificazione, nella piazza di Pontelandolfo intitolata a Concetta Biondi, ragazzina morta stuprata dai dieci bersaglieri che uccisero anche suo padre, legato a un palo e costretto ad assistere alla violenza di gruppo.
SACCHEGGI E STUPRI
Le truppe sabaude avevano imposto le dure norme di un esercito di occupazione, che comportava il saccheggio dei territori (la guerra è così). Numerosi resoconti d’epoca riferiscono cosa succedeva: i reparti incaricati circondavano un casolare, una masseria o un intero paese e depredavano, si facevano consegnare viveri e beni, anche dalle autorità comunali. I maschi, spesso, per evitare l’accusa di brigantaggio, si allontanavano; lo stupro delle donne era una sorta di benefit concesso ai militari. Tanto che pure un intellettuale anti-borbonico, unitarista, filo-sabaudo e liberale, Vincenzo Padula, giornalista e prete cosentino, editore e direttore de “Il Bruzio”, ottimo giornale, protestava perché le donne del Sud servivano “a saziar la libidine” delle truppe, come quelle “di conforto” per gl’invasori giapponesi in Corea.
Immaginate di essere al posto di quella gente che stava per i fatti suoi e si vide coinvolta in una guerra nemmeno dichiarata, perché dovevano “fare l’Italia” (con i soldi e il sangue dei terroni); e soffrì quegli oltraggi. E immaginate che sia agosto, c’è la festa del santo patrono e si sparge la voce (non c’era facebook…) che gli invasori sono stati scacciati e il re deposto dagli occupanti, Francesco II, rientra. Le insegne dei nuovi venuti e di un re francofono, vengono abbattute, ripristinate le proprie. Ma la notizia è falsa.
Un drappello di quaranta bersaglieri e qualche carabiniere viene inviato in perlustrazione, ma il tenente che lo guida compie l’errore (non erano quelli gli ordini) di entrare in Pontelandolfo. L’accoglienza lo induce a cambiare aria, riparando a Casalduni, lì accanto. E va ancora peggio, perché i militari, sottoposti a processo popolare, condannati a morte e giustiziati (solo uno si salva).
Il general-macellario Enrico Cialdini (il carnefice di Gaeta: fece bombardare l’ospedale mentre si trattava la pace) ordinò che di Pontelandolfo e Casalduni non restasse “pietra su pietra”. Il diario di uno degli esecutori della mattanza, il bersagliere lombardo Carlo Margolfo narra l’eccidio e del “rumore” che facevano i corpi degli abitanti, mentre “abbrustolivano”, nel rogo dell’intero paese (di Pontelandolfo e Casalduni rimasero tre case).
DOPO LA MATTANZA, MANCAVANO 2.200 PERSONE NEI DUE PAESI
La stima delle vittime è nell’ordine delle centinaia (nonostante l’ordine di minimizzare, si trovano cifre che vanno da 164, secondo un giornale straniero, a qualche centinaio, secondo la ricostruzione recente del canonico Panella; mentre dal confronto fra i dati anagrafici di un documento ufficiale datato due giorni prima del massacro e quelli del censimento di quattro mesi dopo, mancano circa 2.200 persone, nei due Comuni. Nessuno può dire quanti di questi siano stati uccisi e quanti, rimasti senza casa, siano andati altrove. Un altro dato, però, getta luce fosca su quei numeri: la popolazione del Sud, che sino al 1860 cresceva più che nel resto d’Italia messo insieme (e nessuno emigrava), dal 1860 al 1861 diminuì di 120mila unità, invece di aumentare di quasi tanto. Lo certificano le tabelle dei padri della nostra demografia (archivi Istat), Cesare Correnti e Pietro Maestri, che riportano i risultati del censimento del 1861. Le Pontelandolfo e le Casalduni furono tante. Ma non se ne doveva parlare. I documenti distrutti impediranno, ormai, di poter ricostruire come andarono davvero le cose, stando alle parole del capo degli archivi militari, colonnello Cesare Cesari, e del direttore dell’Istituto di storia Risorgimentale, professor Umberto Levra.
PRIMA VITTIMA DEI VINCITORI: LA VERITÀ
La voce dei vinti fu così soffocata e denigrata (alcuni ancora sono all’opera, e da Sud), che solo oggi, dopo 156 anni, viene finalmente tradotto e pubblicato “Viaggio nel Regno di Napoli nell’anno 1862”, il libro sulle violenze che furono commesse, scritto dal visconte francese Oscar de Poli, pur noto per diverse citazioni. L’unica verità, dopo un secolo e mezzo, deve ancora essere quella dei carnefici. Gli altri Paesi non sono nati meglio del nostro, ma si raccontano come.
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4 Comments
mirko
Se Ferdinando II non fosse morto nel 1859 e non avesse urtato gli interessi britannici in Sicilia, forse la storia d’Italia sarebbe andata diversamente……
Pino Aprile
Ferdinando II difese il suo Paese. Non poteva e non doveva fare altro
mirko
E fece bene, ma purtroppo le Due Sicilie erano isolate diplomaticamente e nel 1860-1861 nessuno era disposto a morire per noi.
Anche la Russia, il più potente alleato di Ferdinando II, dopo la morte dello zar Nicola I (1825-1855) e la disastrosa sconfitta di Crimea del 1856, pensava a tutelare i suoi interessi nel Caucaso, in Asia Centrale e in Estremo Oriente, abbandonandoci al nostro destino.
L’Austria, salvatasi quasi per miracolo dalla tremenda rivoluzione del 1848-1849, non era più quella di Metternich e della Santa Alleanza, e sconfitta in Lombardia da Napoleone III nel 1859, non poteva certo mettersi contro l’Inghilterra, anche grazie alla quale si era salvata dalla rivoluzione.
Quanto alla Francia infine, poteva avere un qualche interesse a conservare le Due Sicilie solo se fossero diventate un suo feudo, con a capo Luciano Murat al posto dei Borbone.
Secondo Carlo Alianello, nel 1861 si sarebbe stati molto vicini a tale soluzione (e la tragica avventura di Borjes nel settembre-dicembre 1861, sembrerebbe avvalorare tale tesi), solo che poi Napoleone III ci avrebbe ripensato e non se ne fece più niente, in quanto l’Inghilterra se poteva cedere su Napoli, non avrebbe mai ceduto sulla Sicilia, avendo fatto di tutto per cacciarvi i Borbone non certo per vederla diventare un pezzo del dominio francese nel Mediterraneo.
E forse a Napoleone Napoli pur con Luciano Murat sul trono non sarebbe interessata senza la Sicilia, chiave di volta del dominio del Mediterraneo, diventato ancora più cruciale con l’inizio dei lavori del Canale di Suez nel 1859.
Pino Aprile
Il Regno delle Due Sicilie era parte importante del mondo che andava demolito. E lo hanno fatto