Il Sud e il Paese divisi dalla deformazione della storia
I neoborbonici sono monarchici? No, ma qualcuno sì, e anche qualcuno che non è neoborbonico è monarchico. Vogliono il ritorno della dinastia a Napoli? Carlo, l’erede dei re delle Due Sicilie detronizzati manu militari dai Savoia, ogni tanto ci viene, con la moglie Camilla. Da turista o per manifestazioni storiche, culturali, benefiche organizzate dai neoborbonici, che sono repubblicani, però, come lui (meno qualcuno). E perché fanno parate con le divise dell’esercito duosiciliano? E perché chiunque altro può farlo, ed è folclore, e se lo fanno al Sud è deteriore, antistorico? Vogliono la secessione i neoborbonici? Qualcuno sì, ma anche qualcuno che non è neoborbonico la vuole o comincia a volerla, stufo di essere trattato da italiano di serie B, perché del Sud (quando diceva di volerla la Lega, i giornali di lorsignori interrogavano i costituzionalisti con la boccuccia a culo di gallina). “Neoborbonico”, come tutto quello che è “meridionale”, è stato fatto diventare negativo nel “sapere comune”, per imposizione culturale: un pregiudizio. Da cui, lo stesso meridionale, non importa se condividendolo o no (spesso sì, in troppi), si vede costretto a prendere le distanze, per far accettare i suoi argomenti “meridionalisti, non neoborbonici”. Devo anche io, a volte, chiarire: non sono neoborbonico, ma se pure fossi iscritto all’Associazione, l’argomento dovete discutere, non l’Associazione.
È dimostrato che le catene più potenti con cui si tengono popoli interi in condizioni di minorità sono le parole: bisogna smontare quelle per essere liberi, alla pari. Con gli italiani del Sud hanno usato il termine “meridionale” come qualcosa di deteriore, nelle varie declinazioni (“nordici e sudici”, “Italia superiore e Italia inferiore”, “Alta Italia, bassa Italia”) e soprattutto, “briganti”, che la più corretta rilettura della storia ha trasformato in termine d’onore; è stato usato “terroni”, ma ora tanti si dicono “orgogliosamente terroni”; la ghettizzazione del Sud è adesso nella identificazione di una minoranza da spregiare: “neoborbonici”, cui attribuire solo cose negative, e nell’includere in quella minoranza chiunque non accetti la imposta minorità (di stima, diritti, infrastrutture, servizi..). Così, paradossalmente, per sfuggire alla condizione di cittadino di serie B, bisogna negare se stessi, visto che i neoborbonici si sono dati il compito di ricostruire la storia negata, ovvero la biografia di un popolo: noi. E dopo “brigante” e “terrone”, la catena da spezzare adesso è “neoborbonico”, il che porterà prima a un eccesso di “borbonico” tutto positivo, poi al più ragionevole riconoscimento di quanto quella dinastia fece di buono e di meno buono (questo equilibrio, in 160 anni, non è nemmeno accennato per quanto riguarda la fiaba risorgimentale e i suoi protagonisti: dopo la Madonna, per dire, Garibaldi è ancora l’unico mortale nato senza peccato originale).
Il terrone evoluto si vergogna della sua storia e fa propria quella decisa per lui dal colonizzatore, descritto come il meglio che ha sostituito il peggio, per darci il massimo bene: l’Italia unita. Che sarebbe una gran cosa se davvero lo fosse, nel senso dello stesso rispetto e della fiera o dolorosa condivisione della storia di tutti sentita come propria, dal Veneto alla Sicilia, dei servizi e dei diritti uguali per tutti, dalla Lombardia alla Calabria e non “Prima il Nord”, “terroni di merda”, 386 euro all’anno di assistenza pubblica a un disabile calabrese e 15.1241 a uno trentino, treni e alta velocità solo a Nord e niente a Sud, monopolio di traffico portuale a Genova e Trieste, escludendo tutti gli scali meridionali, eccetera. Non si fece l’Italia, si creò una colonia (si leggano Gramsci, Salvemini, Dorso, Zitara…) a cui far credere di aver avuto un bene (…sì, abbiamo sterminato intere popolazioni in Libia e nel Corno d’Africa, «ma gli abbiamo fatto le strade», non richieste e a quel prezzo. Nel Mezzogiorno, manco quelle, ancora oggi).
Cito spesso lo scambio di battute che ebbi a un convegno con un magistrato che volle premettere al mio intervento: «La avviso: sono murattiano», intendendo richiamare il periodo di dominazione francese e napoleonica (il Bonaparte ci voleva così bene da mandarci come re i suoi cari: il fratello, il cognato…) che sostituì i Borbone. «La avviso: anch’io sono murattiano», risposi, «e borbonico, e angioino, e normanno, e aragonese, e svevo, e greco, e spagnolo, e slavo, e arabo, e albanese, ed ebreo, e africano, e romano, e cartaginese, e… Siamo figli di molti padri, nella terra più multietnica del mondo, e di ognuno portiamo il sangue. Come si fa a isolare la goccia murattiana e rinnegare il resto?».
Il termine borbonico, da indicazione dinastica, storica, è divenuto politico, reso squalificante, sinonimo di deteriore, corrotto, inefficiente, di qualunque cosa si parli. Pregiudizio frutto dell’offensiva culturale per far accettare la condizione di colonia interna al Sud, nella unificazione squilibrata d’Italia. Ancor oggi, nelle nostre università, si tace agli studenti e nei libri di storia che le lettere di lord Gladstone contro il Regno delle Due Sicilie, descritto come la vergogna d’Europa, avevano scopo diffamatorio e l’autore stesso, a occupazione avvenuta, confessò di non essere mai stato nei luoghi, nelle carceri, nei tribunali che aveva narrato a tinte così fosche. Altra fonte, sempre massonica, di diffamazione è quella dei giacobini napoletani che consegnarono il proprio Paese all’esercito napoleonico, affiancandolo nella guerra contro la propria gente. C’erano fra loro alcuni dei cervelli migliori d’Europa, ma ripiegati sui propri ideali e interessi, staccati dal popolo (senza il quale e peggio ancora contro il quale, nessuna rivoluzione è possibile, scrisse tardivamente uno di loro, Vincenzo Cuoco). Un centinaio di quegli intellettuali filofrancesi (che in pochi mesi giustiziarono circa 1.500 loro connazionali e ne fecero sterminare oltre 60mila dai napoleonidi), furono messi a morte per imposizione dell’ammiraglio Nelson, quando i Borbone tornarono protetti dagli inglesi e da allora, per volere massonico, celebrati come martiri dalla cultura nazionale e nei libri di storia, mentre le loro vittime e le truppe popolari che scacciarono gli occupanti francesi sono ancora oggi diffamate, perché “borboniche” e non celebrate quali patriottiche, come accade negli altri Paesi europei che lottarono contro l’invasione francese: le nuove idee si diffondono quasi sempre con il sangue; processare la storia non ha senso, ma distorcerne i fatti, cambiando il senso delle parole, ne rende le fratture insanabili fra vedove e vedovi, ancor oggi potentissimi, attraverso logge massoniche, della “Repubblica partenopea” sostenuta dall’esercito di occupazione francese; indipendentisti siciliani che rimpiangono “la conquista” della Costituzione, che i Borbone furono costretti a concedere dagli inglesi (infatti, appena potettero, la revocarono), orfani dei Borbone nella parte continentale del Regno (specie a paragone di cosa fecero poi i re di Sardegna), sudditi a tempo scaduto dei Savoia, “perché fecero l’Italia”.
Questa deformazione della storia diventa “la storia”. Chi la pone in dubbio viene denigrato, irriso come la dinastia che doveva essere abbattuta per annettere l’Italia alla corona dei Savoia e “allargare il Piemonte”, (lo si ammise in Parlamento nel 1866, riporta, in un suo volume, lo storico Pasquale Amato, ma i suoi colleghi si guardano bene dal citarlo). Se ti discosti dalla fiaba risorgimentale sei “neoborbonico” («E tu lo sei», mi disse, commentando “Terroni”, un collega “allineato” e massone. «Non lo sono, ma ho molti amici fra loro», replicai. «Sei neoborbonico, te lo dico io», insistette lui. «E tu sei turco, ma parli bene l’italiano», gli dissi. «Io sono napoletano!». «Sei turco, te lo dico io»)
L’opera di repressione della verità (che è sempre più complessa di “tutto il male era lì, tutto il bene è qui”) è stata efficientissima per oltre un secolo, nonostante le picconate di alcuni censurati giganti della nostra cultura. Gli ultimi decenni, però, per la potenza di divulgazione di mezzi alla portata di tutti, sono stati di svolta e oggi è sempre meno credibile e accettata la fiaba massonico accademica, nonostante l’utilizzo a senso unico della più grande azienda culturale di regime, la Rai. Difficile dire quando questa opera di ribaltamento abbia avuto inizio: importantissimi i libri di Carlo Alianello (specie “La conquista del Sud” o “L’eredità della priora”, diventata sceneggiato televisivo con la colonna sonora “Brigante se more”), l’azione appassionata di Angelo Manna a Canale 21, a Napoli, e in Parlamento per la divulgazione dei documenti segretati del Risorgimento… di sicuro, quel sentimento diventa organizzazione una trentina di anni fa, con l’Associazione neoborbonica, tenuta a battesimo da Riccardo Pazzaglia (il prof del “brodo primordiale”) e presieduta, ancor oggi, dal professor Gennaro De Crescenzo.
La prima reazione fu ignorarne l’esistenza, poi se ne minimizzò la portata riducendola a folclore; infine, dinanzi alla crescita inarrestabile del fenomeno, si passò a denigrazione e insulti, usando terroni in cattiva o buona fede (in entrambi i casi, si guadagna qualcosa). E si costruì lo schema culturale squalificante assimilando facilmente “borbonico” e “neoborbonico”. Con il dilagare dei temi meridionalisti, un crescente filone editoriale (non solo “Terroni”, ma tanti libri e ricerche, pure accademiche, finalmente), ogni autore non allineato alla versione ufficiale veniva e viene definito, a opera soprattutto di alcuni giornalisti meridionali del Corriere della sera, “neoborbonico”, quindi non credibile, ìdi scarto; un po’ come l’abuso di “fascista” contro quelli di destra (pur se democristiani) e “comunisti” se di sinistra (magari socialdemocratici). Insomma: “neoborbonico” è un muro mentale, ovvero pregiudizio, oltre il quale tutto è brutto.
L’operazione è stata potentemente sostenuta e ha avuto facile successo, innestandosi sulla già radicata diffamazione storica di “borbonico”. Così, il neo-meridionalismo che ha osato riproporre i temi della discriminazione del Mezzogiorno è detto “neoborbonico”, per assimilarlo al rango di cascame culturale, quasi offensivo a paragone del valore e degli argomenti dei “veri meridionalisti” (si diventa “veri” post mortem). Il professor Vittorio Daniele, che certo non può essere sospettato di neoborbonismo, in una intervista dice che se Gramsci, Salvemini, Nitti, Fortunato, Dorso e altri scrivessero oggi quello che pubblicarono un secolo fa, li chiamerebbero “neoborbonici”.
Il pregiudizio inquina la comunicazione e la spegne prima ancora di avviarla. Neoborbonico? Allora non vale la pena ascoltare, leggere. Così, squalificando gli argomentatori, si evitano argomenti cui non conviene o non si saprebbe replicare.
Il guaio è che persino chi ne è cosciente si vede costretto a premettere: sono meridionalista, non neoborbonico (l’una cosa non include l’altra; il contrario è più probabile, perché molti diventano meridionalisti scoprendo le menzogne della storia ufficiale sul periodo borbonico). Il che suona offensivo per chi si sente così confinato in un ghetto culturale, persino da chi avverte più vicino. Proviamo a vederla dal loro punto di vista: da quasi trent’anni seminano conoscenza negata e consapevolezza. Qualcuno ha da ridire sui modi, a volte ritenuti eccessivi o folcloristici; a me non sembra, anzi mi piacciono quelle cose che a lorsignori fan storcere il nasino (resistente a ben altro): ogni idea, ogni sapere condiviso diviene una sorta di complicità che unisce chi già ne è al corrente e rende estraneo (ma da includere) chi ha non è ancora parte. Questo genera un senso di comunità che ha bisogno di rappresentazione: si è figli di un’altra storia, più vera, “ci si riconosce”; il racconto, si veste di sentimenti, di una bandiera, un canto (nessun popolo marcia in silenzio).
Quando fai questo per trent’anni, ritieni di maturare un diritto, passando dall’indifferenza all’insulto, all’esser temuti: si pensi alla pagliacciata del “pericolo neoborbonico” inteso pure quale neo-meridionalismo, “che mette a rischio l’Unità d’Italia” (minchia!), diffusa sui giornali del potere padano da “scrittori prezzolati”, direbbe Gramsci, specie terroni delle truppe cammellate coloniali; gli stessi che non hanno mai detto “bah” o “ma” sui “milioni di fucili“ leghisti per la secessione armata, sugli insulti al Sud e ai meridionali (“topi da derattizzare”, “porci”, “colerosi”, “cancro”…) o sul furto di 870 miliardi al Sud in 17 anni; e che, quando Feltri dice che i terroni sono “inferiori”, spiegano che non è razzista, perché ha assunto qualcuno di loro, terrone! Come dire che non è vero che gli italiani erano colonialisti in Africa, perché avevano dato una divisa e delle armi agli ascari eritrei, etiopi, somali, berberi: per sparare contro la propria gente, per conto del padrone.
La revisione storica dei neoborbonici è fra le fonti principali del crescente neo meridionalismo. Nel mio caso, sono partito dall’intolleranza per le discriminazioni innegabili (treni, strade, insulti…) per approdare agli studi dei meridionalisti classici e spiegarmi tutto con la riscoperta delle ragioni storiche. Per essere sintetici sino alla ferocia, con il rischio di eccessiva approssimazione, mentre i neoborbonici sono partiti dalla storia per arrivare all’economia, alcuni (io, ma non solo io) sono partiti dall’economia per arrivare alla storia; in questo c’è chi privilegia la storia e ha in sospetto un eccessivo spostamento sull’economia (l’identità vale più di soldi e treni) e chi privilegia l’economia avendo in sospetto la storia (pensiamo ai treni, altro che i Borbone! La presa di distanza a volte è addirittura pregiudiziale). Liberi tutti di pensarla come meglio credono. A me pare che quale che sia il percorso, la storia spiega l’economia e l’economia si spiega con la storia. Ma su queste distinzioni si accendono polemiche terribili che non restano senza conseguenze.
Finché la riscoperta della storia negata e della Questione meridionale, che sembrava archeologia, è rimasta confinata in comunità di pochi, i gruppi erano molto coesi: troppo piccoli per potersi dividere. Credo valga per le aggregazioni umane il principio geologico per cui le fratture della crosta terrestre non possono avvenire a distanza inferiore alla sua profondità (come la tavoletta di cioccolato: non puoi farne pezzetti più sottili del suo spessore); la stessa ragione per cui i rilievi montuosi determinati dallo scontro fra placche continentali si hanno a distanza di circa una trentina di chilometri (lo spessore medio della crosta) dal punto di frattura, lungo la quale hai i vulcani. Come dire che neomeridionalisti e neoborbonici ce n’erano troppo pochi perché potessero dividersi. La crescita tumultuosa, ha comportato la possibilità di rotture, con la proliferazione di gruppi e gruppetti (in fondo, un segno di salute), pur se alcuni solo opportunisti (l’argomento tira, cavalcarlo conviene), generando, nella gara a chi è più meridionalista e a chi è davvero neoborbonico, una confusione che, complice a volte la grossolana o mancata conoscenza delle differenze, facilita fare di tutta l’erba un fascio: neoborbonici tutti a forza, con il fastidio di chi neoborbonico è, e di chi non lo è e non vuole sentirselo dire. Quello che non è accaduto in trent’anni è successo in tre, si è molto ampliato il campo, lo ha reso più complesso, ricco di sfaccettature, alcune delle quali prima solo accennate. E tanto più difficile da gestire, con rischi di polemiche insanabili, conflitti personali, amicizie che si rompono, ambizioni inconciliabili.
Neomeridionalismo e neoborbonismo (in buona parte perfettamente sovrapponibili, ripeto) sono diventati “convenienti”: libri, partecipazioni televisive, spazio sui giornali (non sempre contro) e buon seguito popolare, il che ha reso il fenomeno interessante pure per chi cerca solo un’occasione. Ma questo avviene sempre, quando un nuovo attore, nel confronto sociale, appare in crescita e vincente, o di dimensioni apprezzabili: si cerca di inglobarlo, per mutare a proprio favore equilibri esistenti; destra e sinistra ci hanno provato, raccattando al più cespuglietti di suggestivo nome e scarsissimo peso. La speranza di vedere i temi meridionalisti divenire prioritari a livello di governo (alimentata da alcuni esponenti politici più coinvolti, specie cinquestelle), è stata delusa nonostante alcune iniziative di successo, quale quella contro l’Autonomia differenziata; alla fine, ci si è dovuti però arrendere: la sensibilità restava personale, senza allargarsi al partito.
Questo ha indotto molti dei più restii, me incluso, a dar vita a un movimento politico autonomo. Meridionalista? Sì, ma non solo. Figlio del revisionismo storico? Sì, ma non solo. Dedito alla individuazione, denuncia e correzione delle storture che discriminano territori, popolazioni, fasce d’età, classi sociali, generi? Sì, ma non solo. Il concetto di equità contiene tutto questo, ma non è solo qualcosa di tutto questo. In qualsiasi luogo e modo ci sia qualcuno discriminato, il valore dell’equità è infranto e la crepa o viene subito sanata o si allargherà: esserne lontani, non vuol dire non esserne raggiunti, prima o poi.
Con il sacrosanto revisionismo storico che ha riscoperto radici e ragioni di fierezza, distrutto pregiudizi negativi, coloniali (una sorta di autoanalisi collettiva) e con lo studio delle storture economiche (specie a opera del professor Gianfranco Viesti e della Svimez) che hanno creato e aggravano la Questione meridionale, si è giunti a una elaborazione politica che sembra lontana dal moto iniziale; in realtà lo ha ampliato e lo contiene. Ma tutto avviene così velocemente che non si fa in tempo ad armonizzare il di più e l’altro che sembra irrompere senza comprendere ed essere compreso. È normale, ma è il pericolo maggiore, perché a metà del guado, ci vuole poco a mettere un piede in fallo. Accadono cose che irritano, si attribuiscono intenzioni ostili a fatti che sono conseguenza di valutazioni superficiali; i pregiudizi a danno dei terroni sono condivisi dagli stessi terroni (è la prima forma di liberazione da compiere, ma la più difficile di cui rendersi conto, perché ognuno pensa di essere fra quelli che non ne hanno bisogno, gli altri, invece…); si reagisce sopra le righe e questo viene visto come aggressione, innescando il gioco del “+1”. Insomma, è proprio nel momento in cui si cresce che si corrono i rischi peggiori di far male.
Ogni volta, bisognerebbe ricordarsi che ci si muove con idee magari diverse, verso un obiettivo comune e che ci potremo arrivare solo se faremo prevalere l’obiettivo sulle idee diverse. «Ma quelli sono neoborbonici!». Vogliono il treno per Matera, il Ponte sullo Stretto, l’alta velocità ferroviaria al Sud, la fine dell’emigrazione sanitaria? Sì? Beh, e buttiamo la loro forza per arrivare all’obiettivo, perché dicono che vogliono il re e manco è vero? «Ma quelli sono giacobini!». Vogliono il treno per Matera, il Ponte sullo Stretto, l’alta velocità ferroviaria al Sud, la fine dell’emigrazione sanitaria? Sì? Beh, e buttiamo la loro forza per arrivare all’obiettivo, perché sono murattiani? Conquistiamo il treno, il posto di lavoro senza emigrazione per i figli e poi litighiamo sulla storia, sulla destra che non vuole via Gramsci e sulla sinistra che non vuole via Giovanni Gentile.
Chi salva se stesso al prezzo della possibilità di equità per la sua gente è un egoista. Questo vuol dire che qualunque cosa accada, bisogna trovare il modo di unirsi per il risultato, il bene comune. Anche con chi ti sta sulle palle? Proprio con quelli; con gli altri non hai problemi, che sforzo fai? La vorrai mica facile la cosa. C’è un mondo da raddrizzare e se quello che sta alzando il palo per tenerlo in piedi insieme a te ti sta antipatico, che fai: molli il palo? E se lo molla prima lui? Ditegli “li mortacci tua”, ma spingete. Non c’è un altro modo.
[wbcr_text_snippet id=”1252″ title=”Firma a fine articolo”]
5 Comments
mirko
Spulciando wikipedia, si può notare come studiosi settentrionali critici dei Savoia, anche se non accademici, vengono comunque definiti correttamente come storici. Vedasi Roberto Gremmo, autore di pregevoli opere sul malgoverno sabaudo in Piemonte. Mentre se gli stessi studi vengono compiuti da autori meridionali, come Pino Aprile o Gennaro De Crescenzo li si bolla come mistificatori e propalatori di pseudo-storie e di bufale, rimarcando sul fatto che non sono accademici.
Due pesi e due misure che contraddicono l’idea di un’unità italiana, se i revisionisti del nord vengono considerati molto diversamente da quelli del sud dall’encicolopedia telematica “libera”.
Pino Aprile
Non una parola da ggiungere. Salvo che, per impedire di essere diffamato da wikipedia, ho dovuto fare una denuncia e la mia pagina è stata oscurata…
Benevento
Io credo che SOLO l’Europa possa aiutare la Borbonia ad uscire dal pantano italiano. Mi spiego…Se l’Italia continua a privilegiare il Nord anche con la “Via della Seta” spingendo i porti di Genova e Trieste, citta’ che oltretutto si è rivolta addirittura all’O.N.U. perchè non si ritiene italiana ma territorio libero di Trieste, e non Napoli o Bari, si potrebbe chiedere all’Europa di far governare la Campania dalla Germania per esempio…La Puglia dalla Francia, la Calabria dalla Polonia,ecc…Facendo gestire le risorse economiche da destinare al Sud direttamente da Germania, Francia, Polonia ecc, altrimenti l’Italia li deviera’ SEMPRE al Centro-Nord come fa abitualmente da 160 anni. Altrimenti l’ultima soluzione che ci rimane per porre fine ai soprusi, sono le BOMBE nei posti giusti…La liberta’ purtroppo, non te la regala nessuno !
Pino Aprile
infatti. ma a volerla devono essere in tanti, tutti, o quasi
Vittorio Miri
ATTENZIONE!!!
Meridionali: basta chiacchere, individualismi, folclore, nostalgici ricordi e divisioni in piccoli gruppi, comitati, partitini e associazioni inconcludenti, è ora di unirci in un blocco unico e prendere in mano il nostro destino e costruire un futuro degno di essere vissuto nella luce della verità giustizia e libertà, il Sud ha le menti e le risorse:
LIBERIAMOCI DALLA DITTATURA E DAI TRADITORI:
CHIAMATA ALL’AZIONE PER IL MERIDIONE
Ad onor di Verità e Giustizia sarebbe ora che il Meridione rialzi il capo e ritrovi la sua dignità e onore e riscriva la Storia con la Verità e si emancipi dalla gogna di oggi nata dalla vile e cinica aggressione militare e sociale di oltre 160 anni orsono. Oltre un secolo e mezzo di incredibili sofferenze patite a causa di una finta “unità liberatrice” fatta allora con una vile aggressione militare realizzata con l’aiuto di note potenze straniere e di eserciti sotto mentite spoglie, con l’uso di corruzione e tradimenti, omicidi, falsità, criminalità organizzata, massacri, stupri, deportazioni, spogli e menzogne accompagnati dalla forza della violenza più bieca cinica e vigliacca.
Crimini contro l’Umanità e crimini di guerra di guerra mai dichiarata, che hanno pure anticipato e insegnato al Mondo restando in tutto ciò a tutt’oggi insuperati maestri ai regimi nazisti, fascisti e comunisti, come si distrugge un Paese e la sua Gente, la sua cultura, tradizioni e storia, come si creano e si fanno le pretestuose aggressioni armate, corruzione, omicidi mirati, massacri, stupri, spogli e ruberie, torture, pulizie etniche, rieducazione forzata, deportazioni, campi di concentramento e sterminio, esperimenti “medico-scientifici” criminali su cavie umane, come si crea e si impone la criminalità organizzata e il controllo sociale, ecc. il tutto supportato da un secolare retorica e negazionismo ipocrita colmo di falsità e da una propaganda menzognera giustificatrice e mistificatrice anche nei libri di Storia lesiva della dignità e verità dei fatti e delle Persone e Vittime meridionali di allora come di oggi.
Infatti l’Italia di oggi non è migliore di quella nata allora con la violenza e l’inganno, essa mantiene succube, povero, degradato e spogliato il Sud così incentivando oggi come allora anche l’espatrio all’estero di giovani e risorse umane, ed anzi i “padroni dell’l’Italia Unita” hanno pure insegnato al Mondo come si mantiene il potere con l’inganno facendone una dittatura camuffata da finta democrazia e mettendosi ancora al servizio di cricche straniere e dei loro folli progetti.… per cui ancora oggi ci negano i nostri diritti e Libertà e ci sottopongono a macelleria sociale, controllo sociale ed a folli esperimenti “socio-politici e medico-scientifici” pericolosissimi con moltissime vittime e gravissimi danni alle Persone e Paese, pertanto, oggi più che mai sarebbe meglio liberarsi il prima possibile di questa cappa oscura!
O subito si ripulisce e si rifonda un Italia Unita su pari basi di verità, giustizia, libertà e diritti e riparando i torti cioè: un vero Stato sovrano, Civile e di Diritto o ci si separa, il Sud ha le menti e le risorse per fare meglio di oggi nell’”unità… italica”!
La sopportazione è finita, l’”Italia unita” non ama il suo Popolo e men che meno il Meridione, che fin dall’aggressione è sempre costretto a subire il giogo “italico” e continui discrediti, umiliazioni, discriminazioni persecuzioni, esperimenti, degrado, povertà, criminalità organizzata e uno spoglio continuo di Persone e risorse, e continui omicidi mirati di ieri come di oggi, tra i tanti, troppi, oggi ne ricordo due:
Falcone e Borsellino.
Oggi siamo frazionati e sparsi in piccoli gruppi che paiono folclore e nostalgia, urge unire le nostre menti, diversità e forze per creare un unico blocco forte e unito per dare Verità e Giustizia ai nostri Avi e alla nostra Storia e per fare un futuro migliore di libertà e giustizia a tutti noi, ai nostri figli e alle generazioni a venire.
Se anche Voi siete assetati di Verità Giustizia e Libertà diffondete questo Appello uniamoci e chiamate a raccolta tutte le persone di buona volontà, organizzatevi in gruppi e eleggete un rappresentante che terrà i contatti e restate in attesa ci incontreremo presto per una costituente e per liberarci dal giogo lesivo di certi “partiti e sindacati italiani” che non ci rappresentano, ci illudono dividono e sfruttano e liberarci dalla dolosa disparità di essere cittadini di serie B nell”unità… italiana”.
La misura è colma da un pezzo. Ora basta!
Ricordo a me stesso che già in passato ci siamo liberati da altre occupazioni e da ciniche e brutali dittature come quella del nazi-fascismo. Mio padre Raffaele Miri già deportato internato e torturato in campo di sterminio nazista in Germania, è stato un eroe di guerra e un resistente, un figlio del Sud, un Meridionale che come molti altri ha combattuto e contribuito alla Liberazione dal nazi-fascismo dell’Italia intera per la quale il Sud ha versato molte lacrime e sangue e anche per questo e molto altro che questo Paese è anche nostro!
Ricordo a me stesso anche che i Meridionali furono usati come “carne da cannone” nella 1° guerra mondiale nonché, molti meridionali sono stati i Resistenti e gli IMI che hanno combattuto la guerra di Resistenza e Liberazione contro il nazi-fascismo, erano pochi e mal armati contro regimi al potere ben armati, organizzati sanguinari e crudeli, ma hanno vinto e ci hanno dotato di una bella Costituzione ma che è stata continuamente tradita e calpestata a tutt’oggi e vengono continuamente promulgate leggi e norme liberticide e la nostra sovranità svenduta!
Vi invito a lottare, niente vittimismo, mai rassegnarsi e resistere al regime fino alla vittoria e non dubitate del risultato o una nuova Italia o divisione!
Lottate per i vostri Diritti e Libertà e riavrete quanto hanno tolto a Voi e ai vostri figli e Avi, se non lo fate, Voi e i vostri figli non avrete un futuro e se sopravviverete a ciò sarete per sempre schiavi!
Ricordate: c’è molto di più in gioco di quanto vi è dato a vedere: le vostre vite e dei vostri figli e un futuro degno di essere vissuto e un passato da ricordare con orgoglio e fierezza!
Io fiero e orgoglioso figlio del Sud dico: Meridione forza, alzati e risorgi!!!
Noi non dimenticheremo non perdoneremo e non molleremo!
Vittorio Miri, per contatti: cell. 339.6264914 – e-mail: vittoriomiri@virgilio.it