L’Italia è finita. E ora, non resta che la secessione. La peggiore classe politica che il Sud abbia mai espresso, in perfetta intesa con la peggiore classe politica che il Nord abbia mai espresso, ha approvato alla Camera dei deputati, la Legge di Bilancio, incluso il famigerato articolo 143, che detta le condizioni anticostituzionali e razziste dell’Autonomia differenziata. I deputati del Sud, per ignoranza o sudditanza (gregge coloniale senza dignità, senza competenze e senza palle) ha votato a favore, non sapendo o, se sapendo, non volendo; e comunque, non potendo, se interessati a restare a fare i burattini del potere nordico che li ha portati a essere pagati tanto per vendere la propria gente.
I più stupidi o spudorati (e c’è pure qualche poverino che ne è convinto) cercano pure di spiegarti che l’Autonomia differenziata “conviene anche al Sud”. Un po’ come dire: sì, vi abbiamo torturato, ma ci sono dei lati positivi: i masochisti hanno goduto. Oppure (vedi Roberto Occhiuto, presidente della Calabria o Vincenzo De Luca, presidente della Campania), cercano di esaltare i vantaggi in alcuni settori (l’energia, per esempio), in cui la cosa può risultare vantaggiosa. In realtà, i ras locali mirano a rafforzare il proprio potere personale e il controllo del territorio, aumentando il numero delle competenze loro delegate, perché, in tal modo, pur se ci sarà di meno da spartire per tutti, a spartire quasi tutto di quel meno saranno loro.
E dopo l’approvazione alla Camera dei deputati, ora tocca al Senato. Mettetevi nei panni di questi esserucci che grazie al livello a cui sono scese la politica e le istituzioni, si ritrovano in un luogo che resta mitico per la gran parte della gente, nonostante tutto quello che è stato fatto per ridurlo a un porcile: sono passati dal bar o dal salotto in cui sparavano le loro cazzate, modello “Se fossi io al governo, in parlamento, direi, farei…”, a: “chiede di intervenire l’onorevole deputato/senatore Fra’ Cazzi da Velletri. Ne ha facoltà!”. Mudùuu! Magari arriverebbero pure a capire che l’Autonomia differenziata è l’idrovora con cui le Regioni più ricche, razziste e predatrici, vogliono svuotare la cassa comune a proprio vantaggio, riducendo i diritti nelle Regioni più povere; ma pensano: “È tutto già deciso, che senso ha fare i donchisciotte, con l’unico risultato di farmi sostituire da qualcuno più accomodante?”. Senza arrivare a tali livelli di disossamento morale e cinismo, a conclusioni simili giungono anche quelli che avrebbero capacità, competenze e alcuni persino voglia di agire come sanno che si deve, ma si guardano intorno, vedono il deserto, si convincono che sarebbe inutile e si giustificano con se stessi, rimandando al momento in cui la loro azione possa essere meno solitaria e più produttiva (nel frattempo, comodi… “E comunque, qui, meglio io che altri. Stando nel partito di maggioranza, sono riuscito a ottenere il finanziamento per la strada che unisce il mio paese alla stazione”. Ecco, così, con l’Autonomia differenziata, potranno andarsene più velocemente gli ultimi giovani rimasti).
Allargando lo sguardo, mutato di poco, vedi la condizione di impotenza (ma comoda!) di Giorgia Miracolata Meloni, che è riuscita a portare il suo partitino primo in classifica e al governo, dicendo tutto e il contrario di tutto (Europa matrigna!/Come dice lei, cara signora Europa – Non aiuti per pagare le megabollette di luce e gas, ma tassare gli extraprofitti dei giganti dell’energia/Tranquilli giganti dell’energia, vi diamo altri 21 miliardi, tramite i vostri clienti, aiutandoli a pagare le vostre megabollette…, eccetera): in teoria, comanda Meloni, con un partito che ha tre volte i voti della Lega, in pratica è la Lega che comanda, se no ritira l’appoggio al governo e Giorgia torna a casa sua. Così, con il metodo Meloni (siamo patrioti e contro l’Autonomia differenziata, perché divide l’Italia/Ok all’articolo 143 nella legge di Bilancio, che divide L’Italia con l’Autonomia differenziata, nel progetto più infame di tutti, quello di Calderoli, condannato definitivo per razzismo).
E il Sud? Impreparato, astioso, diviso, si autoesclude e autodistrugge o finge di opporsi… un pochino. Il panorama in cui cade questa tragedia può apparire desolante e, tecnicamente, lo è: a rappresentarlo nelle istituzioni, un gregge di quacquaracquà, a parte poche eccezioni; idem, il ceto intellettuale: salvo poche ma meravigliose eccezioni, sta con il culo attaccato alla sedia, discettando di meridionalismo quanto basta per proporsi al popolo come guide (per la serie: sono dei vostri, ma a capo) e a lorsignori, come “interpreti ragionevoli” (e mi porto il popolo appresso, non temete), pronti a barattare l’equità con “qualcosina” da sventolare in faccia alla plebe e qualcosa di serio per se stessi. Sono i peggiori; li riconosci perché, appena c’è un nuovo potente anti-Sud, loro ne rendono noto un qualche merito meridionalista di cui si erano accorti solo loro (contento, dottore? Taggato, ovvio, che la leccata non le sfugga)… Mentre i nuovi gruppi di terroni politicizzati si sfiancano in lotte intestine, conditi di appelli nominali all’unità, con virulenza tale, che non restano energie e risorse per battersi davvero contro il Pun, il partito unico del Nord e la sua Autonomia differenziata.
Quindi è finita? Non c’è niente da fare? Abbiamo perso? Per niente, perché se questo gran casino succede, è perché il numero di terroni (e non solo) consapevoli delle porcate che sono commesse a danno del Sud è sempre più grande; la capacità di capirle e scovarle, sempre più diffusa; la fantasia per varar azioni di disturbo, acuita proprio dalla astiosa concorrenza fra gruppi terronici antagonisti. Insomma: c’è grande confusione, perché non siamo più quattro gatti o quattro professori che fanno le cose giuste, che però restano fra le mura dell’università, perché ai giornaloni non interessa avere quei disturbatori nelle loro pagine; o sì, ma solo finché “non esagerano”.
Per quanto brutta la situazione, oggi il Sud, pur sparpagliato, inquinato da opportunisti (ma è un dato normale delle azioni collettive umane) ha coscienza, competenza, forza e volontà come mai prima. Certo, meno, moooolto meno di quel che servirebbe, ma la differenza con il passato, tutta a nostro favore, resta. Quindi si può e si deve continuare questa battaglia di equità e verità: obblighi, chiunque, i parlamentari del Sud a motivare il loro voto traditore, a giustificarlo, se ne hanno il coraggio. Chiunque, vuol dire chi li ha votati, chi non li ha votati, i vicini di casa, i parenti: che sentano addosso il peso delle loro (mal)azioni. Che il silenzio non sia un rifugio, per loro.
E, naturalmente, bisogna prendere atto dei fatti e trarne le conseguenze. Già nel 2018 abbiamo fermato l’Autonomia differenziata. Sembrava impossibile, eravamo pochi (ma più compatti), e ci siamo riusciti, facendo mancare la maggioranza in parlamento. Oggi è più difficile e la porcata razzista, sulla pelle di venti milioni di italiani condannati alla minorità perché del Sud e di un capo del governo ostaggio di una devastante minoranza, passa con il voto del parlamento (una volta lo scrivevo con la P maiuscola, ora nemmeno quel minimo rispetto merita e bisognerebbe cambiare il colore dei caratteri).
Le vie d’uscita sono solo due, una a più breve termine: far cadere il governo, prima che si compia il delitto razzista della Lega dominante con Meloni al guinzaglio; l’altra, più strutturale a lungo termine, perché ben altro tempo ci vuole: la secessione. Il Sud se escluso dal godimento degli stessi diritti e ridotto a mercato coloniale di un Nord razzista, deve andarsene da questa prigione storica, in cui siamo stati chiusi con un’invasione militare, un genocidio, la distruzione delle nostre aziende, il furto dei macchinari, il saccheggio dei beni, la condanna all’emigrazione, per la prima volta nella storia plurimillenaria del Sud.
Se ne vadano al diavolo. Liberi, potremo solo rinascere: dove non riuscissimo da soli, faranno a gara cinesi, americani, francesi, tedeschi a farci le ferrovie, a usare i nostri porti, a costruire il Ponte sullo Stretto. Oggi i nostri soldi (il 25 per cento delle entrate statali sono tasse pagate dai terroni; per non parlare del petrolio, del gas, delle raffinerie, dell’energia rinnovabile…) finiscono nella cassa comune e spesi solo a Nord (vedi le ferrovie, gli asili, i Centri di ricerca, eccetera); domani, resterebbero nelle nostre regioni. E se faremo male, almeno, ce lo faremo da soli. Ma, a guardare la storia, da soli, facevamo prima e meglio di chi vorrebbe darci lezioni, mentre ci deruba anche dei diritti costituzionali.
2 Comments
Ary Calvosa
Sono calabrese, noi del sud reggiamo il Paese, ma il meridionalismo come ideologia è deleterio. Il tuo punto di vista è il tuo punto di vista, vieni al nord ti ospito e ti mostro un’Italia diversa. Noi siamo una colonia americana e sudditi tedeschi, altro che nord contro sud. Scrivimi pure in privato.
Pino Aprile
Ho vissuto e lavorato anni al Nord; ho amici, colleghi e una figlia che vive lì. Conosco. Non offenderti se ti dico una cosa: la tua visione è all’interno di un sistema di valori che ci è stato imposto, cancellando la coscienza della nostra storia. È un meccanismo banale, ma potentissimo. Chi non sa di esserne parte, non può desiderare di esserne fuori. In realtà non decidiamo, ma “veniamo decisi”. Leggi “Psicologia del male”, di Piero Bocchiaro; o “Contro Ismene”, di Luigi Zoja; o “Perdonate, signore, questa è la mia patria”, di Liliana Surhabi Stea. Non so cosa fai, ma spesso, sono proprio le persone di successo (ma all’interno del sistema imposto) che non avvertono la sudditanza, perché il loro successo appare quale prova della possibilita “libertà”, “parità”. Il meridionalismo è la disciplina che spiega perché nella sola Lombardia (10 milioni di abitanti), a spese di tutti, ci siano più corse di treni che in sette regioni del Sud messe insieme (20 milioni di abitanti). E non te la cavi dicendo: perché i terroni sono meno, la classe dsirigente locale e altre scorciatoie del genere. Ma sospetto che tu non abbia letto i miei libri, perché queste cose sono riportate. Ti mando questa risposta anche per email, così hai il mio indirizzo. Ciao.