Il più grande processo anti-‘ndrangheta oscurato, il procuratore Gratteri bersagliato
Auguro al dottor Gratteri di continuare a essere il bersaglio di critiche, prese di distanza, persino insulti; che ogni suo scritto, gesto, discorso, inchiesta siano oggetto di reprimende feroci; che tutti gli errori, veri o presunti, vengano gridati (ma soltanto quelli, come non consistesse in altro la sua azione), a riprova della sua pericolosità, in uno snodo istituzionale di tale rilevanza. Finché questo avverrà, ringrazieremo gli dei, perché vorrà dire che è ancora vivo.
Di Rocco Chinnici dava fastidio che portasse “la cultura dell’antimafia” nelle scuole, cosa che poteva addirittura ledere il prestigio della magistratura; le critiche furono spente dall’autobomba che eliminò il rischio di “danno d’immagine” delle sue conferenze agli studenti. Aveva destato scandalo pure la sua pubblica richiesta all’allora ministro che ringraziava i magistrati palermitani perché tenevano il crimine entro “limiti fisiologici”: quanti omicidi, domandò il “papà” di Falcone, Borsellino e della nuova antimafia, e quanti sequestri, rapine, stupri, furti, dobbiamo accettare nei “limiti fisiologici”? Giusto per regolarsi…
Di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino davano fastidio (specie il primo) le “troppe” interviste, le partecipazioni televisive (Falcone trascinò il prestigio della magistratura nel fango del Maurizio Costanzo show! Roba che la sacralità delle toghe deve ancora risollevarsi da tanta vergogna). Alla fine si trovò intollerabile lo sfrecciare, con uso di sirene, delle auto di scorta ai due magistrati (che non bastarono a salvare loro e le scorte. Fui testimone del fatto che quel baccano rompeva persino la quiete della siesta post-prandiale). I boati delle esplosioni che posero fine a quel fastidio saranno stati altrettanto fastidiosi?
E perché ne parlo ora, riferendomi a Gratteri? Anche di lui dicono che dà troppe interviste e scrive troppi libri con il professor Antonio Nicaso, che non dovrebbe parlare delle sue inchieste ai giornali, ma in tribunale, al processo. Peccato che poi, se il processo viene oscurato, con il divieto di divulgarne le immagini, ci si dimentichi di sollevare analoghe e indignate obiezioni. Vuol dire che non ci si sente offesi nella sensibilità giuridica, per quello; né se altri magistrati parlano delle loro inchieste, e persino di reati che poi non compaiono nel processo, “condannando preventivamente” gli imputati, vedi la vicenda di Mimmo Lucano, per dirne una; la campagna per far tornare a casa Marcello Dell’Utri malato non l’abbiamo vista per detenuti senza giornali ed editori amici: sono morti in carcere; Mimmo Lucano è stato tenuto lontano dal suo paese e da casa sua, mentre moriva suo padre, che non ha fatto in tempo a vedere la fine che hanno fatto le accuse al figlio. Non ho visto né letto di altrettanto doloroso stupore in merito a sentenze di assoluzione di un ministro che dice di non essersi accorto che gli compravano casa a sua insaputa; né della clamorosa riduzione di pena, in appello, all’assassino di Ciro Esposito, perché il suo fastidio di vedere troppi tifosi del Napoli in giro per Roma è un’attenuante (la sentenza non precisa quanti debbano essere, per sparare loro addosso, senza godere di attenuanti. Insomma, gli avi del falegname Aronne Piperno, giudìo, crocifissero Gesù Cristo: avrò diritto di essere ancora incazzato? E non gli pago i mobili!).
Cosa voglio dire? Se le critiche appaiono unidirezionali contro i magistrati che vanno a toccare il tempio massonico e mafioso del potere e si rivolgono a Gratteri più o meno le stesse usate contro il pool antimafia palermitano, è ingiustificato il sospetto che stiamo rivivendo qualcosa di già visto? Il pregiudizio negativo verso Gratteri è evidente e da parte, spesso, degli stessi ambienti che hanno fatto a gara nel cercare qualcosa per screditare i magistrati che osavano infastidire chi si ritiene al di sopra delle leggi (incluso chi le ha cambiate di volta in volta, decine di volte, a proprio favore). E se non si riusciva a trovare niente contro il giudice troppo zelante, ci si faceva bastare il colore dei calzini. Così, quando si vedono levate di scudi da critici che, andati per screditare si sono screditati, si è costretti a schierarsi, perché il confronto viene radicalizzato. Non dovrebbe essere così, ma tutto sommato, in certi casi, serve a far chiarezza.
Quando Gratteri tirò le reti dell’inchiesta Rinascita Scott e certa “società civile” si sentì minacciata nei suoi affari masso-mafiosi (una schiera di professionisti, imprenditori e giù pe’ li rami, campa e ingrassa di economia masso-mafiosa), quel coro di critiche divenne una valanga. Certo, non tutte in malafede o per dover di loggia (sarebbe una generalizzazione simmetrica e più ingiusta di quella contro cui sto scrivendo), ma la conseguenza delle peggiori e delle migliori intenzioni, fu che nel momento più difficile della sua carriera, venne lasciato solo un magistrato che aveva alzato il tiro, sapendo che altri sono stati fatti saltare in aria, per questo, o hanno dovuto abbandonare la magistratura, avendo ragione a tempo scaduto, vedi Luigi de Magistris.
Così, con due amici, uno in Puglia, l’altro in Calabria, decidemmo di dare un appuntamento a Catanzaro, dinanzi alla Procura, a quanti intendessero manifestare sostegno ai magistrati e alle forze dell’ordine impegnati nell’inchiesta guidata da Gratteri, contro il luridume delle massomafie. Non un partito, un’associazione, un comitato, solo tre cittadini che avviarono un passaparola, usarono i social, i loro contatti, ebbero l’appoggio de LaC e di altre emittenti, l’attenzione dei giornali, a mano a mano che l’iniziativa cresceva. Avremmo considerato un successo essere in cento, duecento, trecento, in piazza il 18 gennaio 2020, ci ritrovammo in dieci volte tanto e qualcosa in più. Ma della Catanzaro “alta” vedemmo pochi. Peccato che impegni sicuramente più importanti abbiano impedito a tanti di essere presenti anche se (non dubitiamo) avrebbero voluto.
E quelle critiche ai magistrati-martiri del pool antimafia di Palermo che oggi rileggiamo contro Gratteri furono le manifestazioni più blande di ostilità che dovettero subire. Contro Falcone apparve pure il papiello diffamatorio a opera di un “corvo” interno a palazzo di Giustizia di Palermo; in quello di Catanzaro c’era un giudice poi arrestato con l’accusa di vendersi le sentenze (spiace sia mancato il contributo degl’indignati a prescindere e a senso unico nel pretendere il riesame delle sentenze con quella firma o di eventuali altre connessioni per condizionarle). Applicando lo stesso criterio di dubbio a prescindere, potremmo chiederci quante sentenze a carico di potenti potrebbero essere state “corrette” in gradi successivi, non per meriti riconosciuti degli imputati, ma per demeriti dei giudicanti. E arriviamo al Consiglio superiore della magistratura, dopo quanto abbiamo saputo del suo funzionamento, dal “sistema Palamara”: nelle nomine, parve punitivo nei confronti del pool di Palermo, messo in condizioni di non funzionare più come prima. Se fu un caso (ci credi tu?), non si può dire lo stesso di quanto si fece per fermare le indagini di de Magistris contro le masso-mafie e i politici coinvolti: parliamo delle massime istituzioni (“il sistema” agiva con un Csm allora presieduto da Giorgio Napolitano).
E quando Giovanni Falcone decise di accettare l’invito dell’allora ministro alla Giustizia Claudio Martelli, e si trasferì a Roma, persino alcuni dei suoi più cari amici lo accusarono di tradimento, abbandono della prima linea. Si comprese dopo che aveva capito come colpire al cuore il crimine organizzato: in un anno, con l’appoggio del ministro Martelli, riuscì a far varare due leggi che non sarebbero passate in vent’anni. E nacquero le strutture nazionali antimafia, di investigazione e giudiziaria.
Oggi viene vista come fuga e abbandono della lotta in loco, l’eventuale nomina di Gratteri a capo della Procura di Milano o della Superprocura antimafia. Approdi non imminenti, ma l’intenzione di candidarsi è stata annunciata. È meglio o peggio per la ‘ndrangheta? Fatto salvo il sacrosanto diritto di critica (oggi il tema è la prefazione di Gratteri a un libro sulla pandemia scritto da un suo collega, Angelo Giorgianni, definito negazionista sui vaccini: Giorgianni smentisce di esserlo, e Gratteri ricorda che nella sua Procura sono tutti vaccinati, lui incluso), si spera che questo non sia da altri strumentalmente usato come un fuoco preventivo di sbarramento per ostacolare l’arrivo di Gratteri a Milano o alla Superprocura antimafia. “Il sistema”, ha spiegato Luca Palamara che lo pilotava ed ora è stato espulso dalla magistratura, ha fatto leva su appigli ben più labili di questo per sabotare il passaggio di colleghi non condizionabili a incarichi di rilievo o di snodo.
Vita scomoda per chi, attaccando le masso-mafie, apprende che le cosche hanno già individuato il miglior killer per ucciderlo, e deve difendersi da polemiche unidirezionali risparmiate persino a magistrati che hanno fatto commercio di sentenze. Va bene che se si rappresenta una istituzione, il vissuto personale passa in secondo piano o deve proprio scomparire. Ma si resta di carne e ossa. E se a un giornalista che gli chiede dell’ennesima polemica, Gratteri risponde: «Ora ho un nervosismo addosso», magari non ci si stupisce.
Ma, essendo lui uno di quei magistrati che migliorano tantissimo solo dopo la morte, noi ci auguriamo di continuare a leggere che tutto quello che fa Gratteri è sbagliato. È sconfortante che sul lavoro di chi combatte le masso-mafie ci si debba schierare, invece di avere analisi più pacate, non pregiudiziali. Questo dovrebbe indurre a riflettere quanti, in buona fede, non vedono la luna e discutono del dito. Distrazione molto utile a chi preferisce non si guardi la Luna.
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2 Comments
Cyrus Basile
avra’ mai fine o scadenza il contratto con la massoneria mondiale firmato dai savoia 160 anni fa?
Pino Aprile
sono pedine pure loro