UN ALTRO ATTENTATO A SAN SEVERO. MA È LA RABBIA DI CHI TEME DI PERDERE, ORMAI
Al nuovo attentato criminale a Sansevero (la distruzione del deposito e dei mezzi della nettezza urbana), si risponde moltiplicando le ragioni che hanno portato ventimila persone e decine di sindaci a Foggia, a dire: siete il cancro di questa comunità e abbiamo deciso di guarire.
Questi attacchi non indeboliscono, rafforzano gli onesti, sono ormai autogol di una minoranza criminale temibile, ma in difficoltà.
La bestia ferita, che si vede braccata, accerchiata dalle sue vittime, reagisce con maggior ferocia, perché la sua sola presenza, la minaccia dell’uso della forza, non basta più a indurre al silenzio, alla vergogna della sudditanza; e quella forza, quella ferocia vanno ostentate, per tentare di imporre la subordinazione cui le vittime ormai sfuggono.
L’attentato a San Severo è un segno di debolezza, non di potenza. Ed è “politico”: il primo, poco meno di tre mesi fa, colpì l’economia, il cuore del lavoro e della produzione di San Severo, con la distruzione del frutto della fatica di tanti vitivinicoltori. La carognata faceva seguito a una analoga contro i produttori di Torremaggiore. Come se la bestia volesse mettere le mani sull’industria vinicola della Capitanata. L’intensificarsi delle intimidazioni anche a Foggia ha prodotto il risultato opposto a quello che i delinquenti si proponevano: ha unito unito gli onesti contro i farabutti.
Se i mafiosi non lo capiscono, è un segnale di paura, rabbia e confusione mentale, perché stanno commettendo errori “politici”. Quindi, è su questa strada che bisogna proseguire. E fare cosa?
1 – La prima è far dilagare la solidarietà dei Comuni, per mostrare che se i criminali mirano al controllo del territorio, hanno sbagliato i calcoli e il territorio reagisce al contrario delle loro attese (non funziona più, carogne! Gli onesti vi stanno fottendo). La prima necessità è assicurare la continuazione del servizio di nettezza urbana, nonostante la distruzione di tutti i mezzi e delle attrezzature. Il sindaco di San Marco in Lamis, Michele Merla, ha già promesso a quello di San Severo, Francesco Miglio, l’aiuto della sua comunità. Altri sindaci stanno per fare lo stesso. Il presidente della Puglia, Michele Emiliano, ha garantito che la Regione farà, ovviamente, la sua parte. Ma non basta.
2 – Dalle risposte a questi attacchi sta nascendo una rete territoriale di associazioni e iniziative istituzionali decise, forti! I magistrati, i rappresentanti dello Stato che si sentono riconosciuti validi dai cittadini avvertono di potersi esprimere e poter agire con maggior determinazione e chiarezza, senza rischio di ritrovarsi isolati fra una popolazione intimidita e muta e uno Stato assente, talvolta complice (voi credete che sia un caso che una subregione così vasta sia stata di fatto sguarnita dei presidi anticrimine e consegnata alla malavita? Può darsi: a volte, fanno più danni la stupidità e la superficialità che la mafia. Altre volte non si tratta di veri e propri patti Stato-mafia, che non sono tali, finché non dimostrati. Ma la nostra storia e i nostri martiri civili ci hanno educato a pensar male). In questo caso, e per fortuna, in Capitanata e nel governo abbiamo visto con quale velocità e decisione abbiano replicato uomini delle istituzioni. Il che attiva un circuito virtuoso che si auto-alimenta: la cittadinanza dà forza alle istituzioni, che acquistano vigore e danno fiducia, inducendo così la popolazione a maggior coraggio… eccetera. Il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho viene a Foggia; si riparla finalmente del recupero dei tribunali (7 su 8!) follemente soppressi nella sterminata provincia di Capitanata; si cementa la solidarietà fra comunità sparse nel territorio (e spesso divise da retaggi campanilistici) e fra cittadini e istituzioni. Davvero un bel risultato per i delinquenti! Verrebbe da ringraziarli e chiedere (si fa per dire): avanti così!
3 – Ripropongo quanto detto dopo il primo attentato a San Severo: bisogna rendere socialmente ed economicamente dannoso, per la mafia, colpire i singoli e la comunità. Il metodo è frutto della esperienza e del genio dei ragazzi delle cooperative calabresi del gruppo Goel, nella Locride, diretto da un uomo che non so se abbia più grande il cuore o il cervello: ogni volta che qualcuno è colpito dalla ‘ndrangheta (bombe a un ristorante, taglio degli ulivi, incendio dei magazzini…), invitano tutto il paese a una festa. Si mangia, si beve, si canta, si balla, ci si fortifica gioiosamente, partono le sottoscrizioni e la maggior vicinanza del paese all’attività danneggiata la fa decollare. Al punto che, quasi sempre, il frutto di queste iniziative è un “ritorno” molto maggiore del danno subito. Non si arriva al punto di “pensa che fortuna, gli hanno distrutto il negozio”, ma poco ci manca; tant’è che la ‘ndrangheta ormai evita di compiere questi attentati, perché fa un favore alle… vittime, accresce il suo isolamento nella comunità e (come vogliamo chiamarlo?) l’imbarazzo di quella zona grigia di professionisti, imprenditori, politici collusi o contigui, costretti a dover prendere pubblicamente una posizione o “scoprirsi”. Insomma: un disastro, per i cattivi.
Vincenzo Linarello è pronto a venire in Puglia. E altre esperienze positive, come quella di Goel, vanno insegnate dove non sono note. Le soluzioni ci sono, serve solo conoscerle e condividerle.
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