CAPACI DI OTTENERE IL MASSIMO CON IL MINIMO, QUASI NIENTE
Qual è la famiglia che ha dato all’Italia più medaglie olimpiche, mondiali, europee, eccetera? E la seconda famiglia che ha dato all’Italia più medaglie olimpiche, mondiali, europee, eccetera? Quali campioni sono riusciti a battere i record mondiali nelle loro discipline, senza avere il minimo di attrezzature necessarie per praticare quelle discipline?
La risposta a queste e altre domande consimili è a Sud.
Ho passato una bellissima serata, a Santo Stefano del Sole (già il nome…), nell’Avellinese, una sorta di rimpatriata con amici, in piazza, sul palco, dove si è esibito con atomica e immutata energia Mimmo Cavallo; e dove Michele Cucuzza (ci conosciamo da sempre e abbiamo anche lavorato insieme) ha intervistato in pubblico un monumento vivente, Carmine Abbagnale, e me.
CARMINE, GIUSEPPE, AGOSTINO: TRE FRATELLI SUL PODIO OLIMPICO. MAI SUCCESSO
È stata l’occasione per due chiacchiere con Carmine. E mo’ glielo dico: che emozione, Carmine! Ma dove si è mai visto che tre fratelli salissero sul podio a prendersi l’oro alle olimpiadi e non tutti nella stessa categoria di una disciplina già tanto difficile, come la canoa? Carmine e Giuseppe, per citare solo le medaglie “più pesanti”, hanno vinto l’oro in sette campionati mondiali e due olimpiadi (ed erano 25 anni anni che l’Italia non portava a casa una medaglia, nella canoa); ma se glielo ricordi, Carmine ti fa: «Seee, e Agostino allora?». Già, il terzo fratello, che non gareggiava avendo accanto uno degli altri due (Carmine e Giuseppe, con Peppinello di Capua, erano i dominatori del “due con”; Agostino vogava, unico Abbagnale, nell’“otto con”, nel “quattro di coppia” e nel “due di coppia”). Nel 1988, alle Olimpiadi di Seoul, Carmine e Giuseppe arrivano primi nel “due con” ed è oro, mentre l’Italia impazzisce, con Giampiero Galeazzi e gli altri cronisti televisivi che continuando a urlare «Oro! Abbagnale!!! Oro!!». E mentre la gioia ci unisce oltre i continenti che ci separano, Agostino, con il “quattro di coppia” (gli altri erano Gianluca Farina, Piero Poli e Davide Tizzano, uno meglio dell’altro), riesce a mettere la prua del suo scafo davanti a tutti, sul traguardo. «Ancora oro!!! Ancora Abbagnale!!»: sono passati pochi minuti dal trionfo degli altri due. Si continua a gridare, gioire, ma le medaglie d’oro sono raddoppiate.
Li avete mai visti tre fratelli salire sul podio alle Olimpiadi, a prendersi l’oro? Ha ragione Carmine: no, non li avete mai visti. Ma il destino decide di mostrare che c’è un Abbagnale che può fare persino di più, e colpisce Agostino: una trombosi; è come se gli avessero tagliato una gamba. Deve smettere. Ma quel ragazzo si chiama Abbagnale. Ci mette cinque anni a riprendersi e torna in acqua ai mondiali del 1995 (saltando le Olimpiadi del ’92): arriverà tredicesimo nel “due di coppia”. Ok, forse un ciclo è finito, ma l’impresa è una lezione lo stesso, di volontà, di tenacia. La si poteva leggere così, giusto? L’anno dopo, Agostino si ripresenta alle Olimpiadi di Atlanta, con Davide Tizzano, nel “due di coppia”. Ed è oro! E sarà oro anche nel 2000, a Sidney, nel “quattro di coppia”, con Rossano Galtarossa, Alessio Sartori, Simone Raineri.
«Seee, e Agostino allora?»: tre ori olimpici (titoli mondiali ne hanno di più Giuseppe e Carmine, che di ori olimpici ne hanno due). Ha 38 anni Agostino quando è costretto a fermarsi, nel 2004, perché la trombosi torna a frapporsi fra lui e nuovi traguardi. Ma il valore del suo esempio (sintesi e continuazione della storia degli Abbagnale) viene riconosciuto fra i più alti dello sport e nel 2006 gli verrà conferita la medaglia Thomas Keller, una sorta di Nobel del canottaggio, l’onorificenza più ambita.
GLI ABBAGNALE SENZA CANOA, MENNEA SENZA PISTA
Eppure, questi ragazzoni di Pompei dovevano allenarsi in mare (un controsenso: l’onda può spingerti e darti velocità non tua; o frenarti, e togliertene, obbligandoti a maggior fatica, o sbandarti, di lato), mentre la canoa vuole acque ferme. Loro, però, il mare avevano. La “base” era un catorcio di capannone: ci pioveva dentro. E le “barche”? Basti dire che per gareggiare, dovevano farsi prestare lo scafo dagli altri. Tipo: «Ti dipiace: vinco il campionato del mondo e te la restituisco?».
Erano i Pietro Mennea dell’acqua: il fulmine di Barletta divenne l’uomo più veloce del mondo e il suo record resistette per un quarto di secolo, una generazione; ma il suo talento era stato coltivato su strade di campagna, vie cittadine; se non fosse per l’indegno doppiosenso: velocista da marciapiede, perché non aveva pista adeguata.
E GIANNI MADDALONI COMBATTE CONTRO LE BOLLETTE DELLA PALESTRA
E la seconda famiglia che ha dato più medaglie è ancora del Sud e ancora campana: i Maddaloni di Scampia, fra Pino, Marco, Laura, nel judo e Clemente Russo, marito di Laura, nella boxe. Gianni, il capostipite e allenatore, guida la palestra nel quartiere che ha ispirato Gomorra. E trasmette i suoi valori non solo alla famiglia, ma a centinaia di ragazzi che lì, prima di una via per il raggiungimento di risultati sportivi, trovano una educazione al rispetto di sé, degli altri, all’utile uso e non allo spreco di quella potente forza interiore che può innalzarli o travolgerli.
«Appena entrano qui, dico ai ragazzini di salire sulla pertica. Sono quattro metri, ma ti bruciano fiato e muscoli in pochi secondi. Loro salgono e scendono, senza interruzione, tre-quattro volte. C’è solo una spiegazione: la rabbia. Il mio compito non è eliminarla, ma metterla al servizio di qualcosa di positivo».
Gli Abbagnale non avevano barche e acqua ferma; Mennea non aveva pista; Gianni Maddaloni, quasi ogni mese, deve cercare come mettere insieme i soldi per pagare le bollette.
Ma a pochi, forse a nessuno come a loro, il nostro sport deve di più.
LO SCAMBIO DI TARGHE FRA CARMINE E ME
Onorato di averti conosciuto, Carmine (ci hanno dato delle targhe. «Quante ne hai “A Carmine Abbagnale”?». «Eeeh!». «E pure io, nel mio piccolo…“A Pino Aprile”. E non ne ho manco una “A Carmine Abbagnale”. Facciamo a cambio?». «Giusto: nemmeno io ne ho una “A Pino Aprile”». E mo’ ce l’ha. E io la sua); onorato di essere stato tuo ospite in palestra, Gianni; e peccato non aver capito, da ragazzo, di era quel “Pietro, Pietro, Pietro”, di cui tutti parlavano, allo stadio Salinella (era già il Salinella o ancora il vecchio?), a Taranto, mentre facevo salto in lungo nella squadra del mio istituto scolastico, solo per saltare le lezioni di laboratorio di macchine idrauliche. «Ma chi cazz’è ‘stu Mennea?».
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