RIPORTIAMO UN ARTICOLO DI PATRIZIA MORLACCHI, SCRITTRICE LOMBARDA RESIDENTE IN MOLISE, CHE RIPRENDE E COMMENTA DUE IMPORTANTI ARTICOLI DI LUIGI EINAUDI CHE RECENSIVA IL FONDAMENTALE LIBRO DI FRANCESCO SAVERO NITTI (“NORD E SUD”) CON LE PROVE DEL SACCHEGGIO DEL MEZZOGIORNO, NELL’ITALIA “UNIFICATA” E LA SPESA PUBBLICA SQUILIBRATA (QUASI TUTTO AL NORD, QUASI NIENTE AL SUD), CHE ANCOR OGGI, CON IL NOME DI “SPESA STORICA”, ALIMENTA E ACCRESCE IL DIVARIO CHIAMATO “QUESTIONE MERIDIONALE”. E SE QUESTI ERANO I PADRI, SI CAPISCE PERCHÉ CI TROVIAMO CON FIGLI E NIPOTI PADANI RAZZISTI. di Patrizia Morlacchi “Piemontesi falsi e cortesi” (proverbio popolare) Nel 1900 Francesco Saverio Nitti pubblicava un libro destinato a diventare una pietra miliare, «Nord e Sud. Prime linee di una inchiesta sulla ripetizione territoriale delle entrate e delle spese in Italia» (Roux e Viarengo Editori, Torino, lire 3). Nel testo vi erano 37 incisioni per una rappresentazione grafica delle spese dello Stato rispetto ai territori degli Stati preunitari. Il volume infatti è la sintesi |
dell’opera «Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97», pubblicata dal medesimo autore negli «Atti» del Regio Istituto d’Incoraggiamento di Napoli, dove le argomentazioni dell’autore sono largamente suffragate da numerosi dati statistici. (Il testo di «Nord e Sud» è reperibile on line nella Biblioteca digitale Gramsci sul sito www.fondazionegramsci.org). Luigi Einaudi, nato nel 1874 in un paesino nella provincia di Cuneo, che diventerà Ministro del Bilancio nel Governo De Gasperi IV, presidente della Banca d’Italia dal 1945 al 1948 e secondo Presidente della Repubblica italiana dal 1948 al 1955, con solerte tempestività ne fa una recensione che viene pubblicata in due puntate su «La Stampa», il 16 e il 23 giugno 1900. All’epoca, nonostante la giovane età, Einaudi ha già ottenuto la libera docenza, e tiene un corso di Scienza delle Finanze all’Università di Torino. Di seguito propongo i due articoli pubblicati. Vale la pena di leggerli. Mi sono permessa di segnare in grassetto i passaggi che rappresentano, secondo me, un percorso logico. Si potrà fare alla fine un breve commento. I parte. |
«Nord e Sud» è il titolo di un libro pubblicato di questi giorni da Francesco S. Nitti e scritto con grande desiderio di verità, per un grande scopo di bene. Il libro è destinato ad avere grande fortuna e ad essere largamente discusso non solo per la forma attraente e la sostanza pensata delle cose dette, ma anche perché corrisponde ad un bisogno critico dell’anima italiana nel presente momento. Accade nelle nazioni come negli individui: alle epoche di entusiasmo irrefrenato seguono le epoche di critica e di riflessione, durante le quali le opere del passato vengono sottoposte allo scalpello notomizzatore della critica indagatrice. Tutti gli stati sono passati attraverso a queste due epoche diverse, eccetto alcuni che per speciali circostanze storiche seppero costituirsi in guisa durevolmente accetta a tutte le parti del territorio nazionale. Quando una nazione si costituisce ad unità ed a parecchi piccoli Stati sorge il nuovo grande Stato, gli |
animi degli statisti e dei combattenti sono così pervasi dal fuoco sacro dell’amor patrio che sdegnano occuparsi delle conseguenze finanziarie dell’unione celebrata in mezzo all’ebbrezza universale. Sembra allora vil cosa l’occuparsi a formare il bilancio del dare e dell’avere delle varie parti, prima disunite, del territorio nazionale; ed appare volgare l’indagine se una delle parti subisca qualche perdita finanziaria dall’unione. |
È bene che così accada in quelle epoche eroiche in cui si formano le grandi nazioni, perché altrimenti nulla di grande si sarebbe mai potuto fare e non sarebbero sorti gli Stati moderni e l’Italia sarebbe ancora divisa in piccoli Stati e sottoposta al giogo straniero. |
Ma è altresì umano che dopo, quando l’unità nazionale è stata cementata dal sangue dei martiri, vengano gli indagatori a vagliare sottilmente le ragioni del dare e dell’avere fra le varie province unite. Né si può dire che la loro opera sia funesta al sentimento unitario ed all’avvenire della patria una. Nel mondo moderno le cagioni di dissidio non cessano di esistere soltanto perché sono tenute nascoste. Il male anzi sembra più grande allora di quanto in realtà non sia perché se ne ignorano la natura e la estensione vere e non si conoscono i mezzi atti a curarlo. Se invece le ragioni di malcontento di una regione verso l’altra sono messe in chiara luce, è possibile toglierle, cementando in tal modo ancora più l’unità nazionale, che potrebbe correre pericolo se il male covasse a lungo sotto le ceneri, per divampare d’un tratto in un incendio devastatore. |
Il problema della equa ripartizione delle entrate e delle spese dello Stato, se altrove è stato a lungo pubblicamente discusso, in Italia ha formato soltanto oggetto di conversazioni private, fatte nel tono in che si parla delle cose da tutti risapute e che nessuno vuol dire, quasi si trattasse di cose vergognose. Nel nord molti sono persuasi che il sud abbia sfruttato l’Italia nuova e che il bilancio italiano sia stato gravato a torto per costruire ferrovie inutili nel mezzogiorno e per mantenere un organismo complicato di governo in un paese di gran lunga inferiore in civiltà al settentrione. Nel sud si ha l’opinione opposta, credendosi dai più che i danni economici della unione superino i benefizi. L’opera del Nitti giunge in buon punto per sostituire alle private mormorazioni la pubblica discussione, alle dicerie vaghe le dimostrazioni a base di statistiche precise. «Nord e Sud» è stato scritto da un meridionale; ma siccome si tratta di uno scienziato il quale ha studiato a lungo e serenamente ed ha scritto per fine di bene e per dire il vero, noi settentrionali abbiamo il dovere di ascoltare la sua parola. Dopo la discuteremo perché dal dibattito sprizzi fuori la verità che deve essere feconda di bene all’Italia nostra. Ecco intanto riassunta per sommi capi la parola del Nitti: |
Quando l’Italia si costituì le imposte erano gravissime nel settentrione ed un debito pubblico assai alto gravava sul Piemonte. Nel mezzogiorno invece le entrate erano poche e lievi e di facile riscossione; il debito pubblico tenue e la rendita da lunghi anni al disopra della pari. È vero che il mezzogiorno difettava di strade, ferrovie, scuole, mentre il Piemonte aveva già percorso gran tratto sul cammino della civiltà moderna. Ma ciò avrebbe dovuto consigliare all’Italia nuova di rivolgere le sue cure sovratutto al mezzogiorno per alzarne il livello materiale ed intellettuale. Invece, in parte per necessità ed in parte per volontà, accadde l’opposto. Il mezzogiorno ha sempre dato allo stato unitario più di quanto non abbia ricevuto. Ecco le spese dello stato per ogni 10 lire di imposte e tasse: |
Piemonte 8,49 Liguria 13,49 Lombardia 8,32 Veneto 7,50 Emilia Romagna 6,48 Toscana 9,97 Marche 7,57 Lazio 12,02 Umbria 5,97 Abruzzi Molise 4,82
Campania 8,78 Puglie 4,35 Basilicata 6,07 Calabria 6,07 Sicilia 8,00 Sardegna 8,10
Nella Francia ed in molti degli Stati più progrediti sono le regioni più povere quelle che ricevono più che non diano; in Italia sono le regioni più povere che danno assai più che non ricevano. È in questo fatto, dice il Nitti, la causa maggiore della depressione, che sembra aver colpito l’Italia |
meridionale. Scendendo ai particolari, si osserva che il mezzogiorno prima dell’unità, aveva un esercito di centomila uomini, i quali vivevano e spendevano il loro soldo nel paese. Più che 30 mila soldati erano permanentemente nella città di Napoli e nei dintorni. Ora l’esercito è concentrato verso il nord, 121 mila uomini nel settentrione, 70 mila nel centro e 51 mila nel mezzogiorno. Si tratta di una necessità militare inevitabile, la quale non toglie che delle spese militari si giovino sovratutto il nord ed il centro. E quel che si dice dell’esercito, si può ripetere per le scuole militari, per la marina, concentrata tra Livorno, Spezia e Genova, gli arsenali, ecc. Le 17 università di stato sono in numero di 4 nell’Italia settentrionale, di 7 nella centrale, di 1 nella meridionale, di 3 in Sicilia e di 2 in Sardegna. Per l’unica università del mezzogiorno si spende assai meno che per quella di Roma, la quale ha pure appena la terza parte degli studenti di Napoli. Lo stesso si dica dei licei, ginnasi, istituti tecnici, scuole tecniche, biblioteche, musei, gallerie, sussidi alle scuole elementari povere, ecc. In tutti i casi lo stato spende più nel nord e nel centro che nel sud; ed i professori più scadenti sono mandati nel mezzogiorno, come anche i magistrati novellini. Prima dell’unità i magistrati a Napoli erano pochi ed avevano stipendi elevati. Dopo si estese anche al mezzogiorno il sistema degli stipendi tenui, ma non si aumentò il numero delle preture, dei |
tribunali e delle corti al livello del settentrione. Le preture ed i tribunali che hanno minor giurisdizione ed emettono minor numero di sentenze sono tutti nel settentrione. La relativa maggior difficoltà di istruirsi e di aver giustizia e una delle cause della arretrata civiltà meridionale. I lavori pubblici (ferrovie, porti, ponti, fanali, strade, bonifiche) andarono in prevalenza a beneficio del settentrione e del centro. Dal 1862 al 1897 – 98 si spesero 1.965 milioni nell’Italia settentrionale (141 lire per abitante e 18.865 lire per chilometro quadrato), 793 milioni nell’Italia centrale (159 lire per abitante e 14.254 lire per chilometro quadrato), 919 milioni nella meridionale (109 per abitante e 11.947 per chilometro quadrato) e 545 milioni nella insulare (124 per abitante e 10.956 per chilometro quadrato). Quando l’Italia si formò, le due Sicilie possedevano 443 milioni di monete metalliche, il 65,7% del totale, in molta parte tesaurizzato. Questi denari ed altri risparmi servirono a pagare i beni |
demaniali ed ecclesiastici messi in vendita dal nuovo governo e di cui la massima parte si trovava nel mezzogiorno. Furono centinaia di milioni che il mezzogiorno pagò per comprare terre sue e che lo stato spese in massima parte nella valle del Po per mantenervi un grosso esercito sul piede di guerra. (In verità Nitti sostiene che le spese per l’esercito sono a beneficio soprattutto del Piemonte). L’unione dei debiti pubblici ereditati dagli antichi stati riuscì favorevole agli abitanti del Piemonte |
che pagavano 14 lire ciascuno e dannosa ai meridionali che pagavano 3,58 lire d’interesse annuo. Coll’unione i piemontesi ed anche i romani vennero sgravati a danno dei meridionali. E la lista potrebbe continuare. |
La rendita pubblica fu comprata a vil prezzo dal settentrione e rivenduta a prezzo maggiore al mezzogiorno durante l’epoca di floridezza che questo attraversò; anche ora i pagamenti del tesoro sono maggiori nel nord che nel sud. Nel nord vive la maggior parte dei pensionati di stato e sono settentrionali i più fra gli impiegati. È una diceria smentita dalle cifre la pretesa invadenza dei meridionali nei pubblici impieghi. Il mezzogiorno è la regione dove la pressione delle imposte è più grave, dove gli aggi son più alti e le espropriazioni per mancato pagamento di imposta più numerose. Le città settentrionali sono cresciute in numero e ricchezza ben più rapidamente che nel mezzogiorno. L’imposta sui fabbricati grava meno nel nord e nel centro dove le abitazioni rurali sono esenti, che non nel sud dove gli abitanti sono agglomerati in grossi borghi tassati. Il mezzogiorno agricolo non può sottrarre |
all’imposta la sua ricchezza tangibile e reale, mentre il nord commerciante e manifatturiero occulta molta parte dei suoi redditi mobiliari. Il sud agricolo in virtù della politica doganale protezionista italiana non può vendere all’estero i suoi vini, olii, agrumi e deve comprare a caro prezzo i manufatti del nord. La lista continua, documentata di fatti e da cifre, nel libro del Nitti. Noi facciamo punto, lieti per ora se avremo invogliato i lettori alla lettura di un libro che solleva e tratta senza reticenze una questione di interesse tanto alto per l’avvenire d’Italia. II parte La discussione del libro del Nitti richiederebbe un esame lungo e minuto delle varie argomentazioni contenute in Nord e sud; esame poco adatto ad un giornale quotidiano. Amo meglio esporre quale è la mia impressione di settentrionale di fronte al libro scritto da un meridionale, nel convincimento che la esposizione del vero giovi alla causa della unità italiana. Ecco pressapoco quanto potrebbe dire un settentrionale, immune da pregiudizi regionali e desideroso soltanto che la luce proveniente dall’esperienza del passato ci serva di guida per l’avvenire: «Sì, è vero che noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno ed abbiamo profittato di più delle spese fatte dallo stato italiano dopo la conquista dell’unità e |
dell’indipendenza nazionale. Ma se talvolta errammo per egoismo, in massima parte traemmo profitto da una serie di circostanze geografiche, storiche e sociali contro di cui sarebbe stato non solo vana ma dannosa per tutta l’Italia la resistenza. Peccammo, è vero, di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio nazionale e ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale. Noi riuscimmo così a fare affluire dal sud al nord una notevole quantità di ricchezza, nel momento appunto in cui la chiusura dei mercati esteri, conseguenza della nostra politica protezionista, impoveriva l’agricoltura, unica e progrediente industria del sud. Ma è giusto ricordare che noi settentrionali non saremmo riusciti a consumare il nostro peccato di egoismo protezionista se non fossimo stati aiutati dai grandi proprietari di terre a grano del mezzogiorno, i quali permisero agli industriali del nord di sfruttare i loro corregionali a patto di acquistare anch’essi il diritto di far loro pagare il pane un po’ più caro del normale. |
Le nostre città ed i nostri borghi traggono grande profitto dall’esistenza di forti guarnigioni; ma è questo un fatto strategico il quale deriva dalla conformazione geografica del nostro territorio e le cui cause debbono essere e sono infatti riconosciute giuste dagli stessi meridionali. «Abbiamo avuto una percentuale di impiegati alti e bassi superiore al normale; ma, ciò nei primi tempi era necessario per cementare l’unità nazionale con una burocrazia imbevuta di spirito unitario e di devozione agli istituti esistenti; ed allora questa burocrazia non si poteva trovare |
altrove che in Piemonte. Ora la sperequazione fra le varie regioni d’Italia va scemando a questo riguardo, per quanto ciò non sia ancora molto visibile negli alti gradi della burocrazia. |
Abbiamo spostata molta ricchezza dal sud al nord colla vendita dell’asse ecclesiastico e dei beni demaniali e coi prestiti pubblici; ma come si poteva fare altrimenti negli anni tragici che corsero dal 1860 al 1870? Abbiamo ottenute più costruzioni di ferrovie, di porti e di altri lavori pubblici, di scuole e di istituti governativi; ma possiamo dire con fiducia che quei denari furono spesi nel nord con maggior profitto che se fossero stati spesi nel sud. Non si può negare che, trent’anni fa, il nord d’Italia rappresentava la parte del territorio più progredita. Dicendo questo noi non vogliamo muovere nessun rimprovero ai meridionali, quasi che essi fossero incapaci a raggiungere un grado di civiltà materiale e di progresso morale ed intellettuale simile al nostro. Soltanto una pseudo-sociologia ciarlatanesca può dilettarsi a distinguere due razze in Italia, l’una votata al progresso e l’altra |
destinata alla barbarie. Dicendo che il settentrione era più civile noi vogliamo dire soltanto che per una serie di circostanze storiche (governi migliori, vicinanza alle nazioni economicamente più progredite, maggior fiducia in noi stessi, posizione geografica atta ai rapidi e proficui scambi) noi ci trovavamo in una posizione in che la ricchezza poteva svolgersi più facilmente, si aveva maggior bisogno degli strumenti della civiltà moderna, come strade, ferrovie e si sentiva maggiore stimolo ad appropriarsi una cultura media sufficiente. Il fatto che qui dal Piemonte era partito l’impulso alla formazione dell’Italia nuova era causa per noi di un giustificato orgoglio e di ammirazione per i meridionali, i quali accorrevano ed accorrono ancora nel settentrione come alla sede di una civiltà più alta. Accadeva lo stesso nel mondo romano, ma in senso inverso, ed alcune fra le maggiori glorie latine venivano dai paesi del nord. A causa di circostanze, storiche e di fatto, la applicazione dei capitali anche pubblici è stata nell’ultimo quarantennio più proficua nel nord che nel sud. Conveniva di più serrare le maglie della rete ferroviaria settentrionale ad intenso traffico internazionale ed interno che non fare un tronco nuovo in un paese meridionale privo di comunicazioni. Era e sarebbe ancora più utile profondere milioni nel porto di Genova, che è opera nazionale, che non spendere le migliaia di lire in un porto della costa adriatica o calabra visitato da poche navi a vela. Era più utile spendere denari per |
istituti di istruzione media nell’Alta Italia a fine di non lasciar disperdere i frutti dell’istruzione elementare da lungo tempo iniziata che non impiegarli nell’Italia meridionale dove mancava ancora la materia atta ad essere educata e dove la gioventù, non trovando sbocco nei commerci e nelle industrie, avrebbe languito nella burocrazia e nelle professioni liberali. È noto altresì che le successive applicazioni di capitali non sono tutte egualmente produttive. Quando su un campo si sono già impiegati rilevanti capitali, torna più conveniente applicare i nuovi capitali non su di esso ma su nuovi campi, trascurati prima perché ritenuti troppo sterili. Sembra che qualcosa di simile accada già e debba accadere ancora maggiormente in avvenire riguardo alle spese di stato in Italia. Il libro del Nitti è forse l’indice che nella coscienza nazionale va maturando il convincimento che convenga rivolgere l’attenzione pubblica del settentrione al mezzogiorno. Non certo ce ne dorremo noi settentrionali. La nostra fortuna è unita con vincoli così |
stretti alla fortuna del mezzogiorno, che dobbiamo essere lieti che si cominci finalmente a diffondere un po’ di più il sentimento di giustizia e gli strumenti materiali ed ideali della civiltà presso i nostri fratelli del sud. Noi dobbiamo anzi unire i nostri sforzi agli sforzi dei meridionali per liberare l’intiero paese dalla cappa di piombo del fiscalismo e del protezionismo che, se è deleteria al mezzogiorno, è apportatrice altresì di gravi danni al settentrione. |
Anche i settentrionali cominciano a persuadersi che è durata troppo a lungo l’attuale politica doganale protezionista ed anelano al pane a buon mercato ed agli sbocchi per i loro prodotti agricoli ed industriali. |
Che i meridionali sappiano scuotere il giogo dei latifondisti avvantaggiati dal dazio sul grano o noi saremo con loro a combattere le battaglie della libertà! Anche i settentrionali, quando più la loro vita economica si svolge, sentono i danni dell’attuale fiscalismo tributario opprimente ed asfissiante e sono pronti a dare la mano ai meridionali perché ad essi le imposte sui fabbricati, sulla ricchezza mobile e sugli affari non portino via i frutti, già tassati e gravemente tassati, dell’agricoltura. Anche i settentrionali sono stanchi di vedere accrescersi senza fine il numero degli istituti di istruzione puramente classica e sarebbero lieti di cooperare coi meridionali alla creazione di tipi svariati di istituti scolastici, diversi da regione a regione a seconda dei bisogni locali e adatti a fornire i veri capi del movimento economico italiano. |
Né è difficile persuadere alle classi operaie del settentrione che esse hanno maggiore interesse ad avere il pane ed il vino a buon mercato che non pensioni pagate da uno stato col bilancio in disavanzo, ovvero clausole di salario minimo utili a pochi privilegiati; e che il loro più grande interesse sta nel favorire tutte quelle libertà economiche e tributarie che valgano a migliorare le sorti degli agricoltori meridionali ed a mettere in grado questi ultimi di consumare in maggior copia i prodotti delle industrie del nord. Nella lettera dedicatoria al senatore Luigi Roux, il Nitti scrive: «Tu sei nato nell’estremo nord della penisola ed io nell’estremo sud: poiché non sei sospetto, vuoi tu aiutarmi in un’opera di verità, che è diretta a mostrare un pericolo vero, ma anche a dimostrare che si deve aver fede nell’avvenire?». Se sono riuscito in quest’articolo ad esprimere l’opinione dei settentrionali alieni da pregiudizi di regione, parmi poter conchiudere che l’invito del Nitti sarà ascoltato non solo dal direttore di questo giornale, ma da tutti i settentrionali, i quali abbiano la coscienza della necessità di mantenere l’unità nazionale diffondendo il bene con giustizia in tutte le parti del paese. ****** |
E’ stata per me una sorpresa leggere questi due articoli del 1900 e ritrovare i medesimi argomenti, le medesime giustificazioni, le medesime accuse inalterate che si usano ancora ai nostri giorni. Einaudi ammette tutto dell’analisi di Nitti. E d’altra parte Nitti stesso diceva di essere stato invitato a non pubblicare il suo libro per non “generare discordia”, ma di non aver avuto contestazioni nel merito della sua indagine. E’ tutto vero! afferma anche Einaudi. Il Nord è stato “egoista” e ha tenuto per sé una ricchezza che gli derivava dal Sud senza ritegno, ma lo ha fatto perché non si poteva che fare così. Una giustificazione senza spiegazioni se non basata sul convincimento che il Sud non fosse degno di una equità territoriale di spesa e cioè – mi pare – la giustificazione di vita di una sanguisuga. Alla radice di un simile ragionamento non può che esserci un fondo roccioso e inscalfibile di razzismo. Che ritiene il meridionale un essere inferiore per capacità intellettuale e per consistenza morale. Come è evidente quando Einaudi scrive: «Nord e Sud» è stato scritto da un meridionale; |
ma siccome si tratta di uno scienziato…Come interpretare quel “ma”, quella piccola congiunzione avversativa, che sta a significare l’introduzione di un concetto con un giudizio opposto al precedente? Il fatto è, io credo, che Einaudi, dall’alto della sua arrogante e insieme meschina piemontesità, nemmeno si rendeva conto di quanto le sue parole fossero offensive. E, d’altra parte, tutto quello che segue nell’articolo trova una sola giustificazione a quanto deciso nei 40 anni, che vanno dal 1861 al 1900, dai governi che si sono succeduti, ben 22 di cui furono a |
capo, con dei bis, 7 piemontesi, 2 lombardi, 2 romagnoli, 1 toscano e 2 siciliani. La sola giustificazione delle politiche economiche adottate, secondo Einaudi, è che per il Nord fossero più convenienti; fosse più conveniente vivere a spese del Sud mantenendolo in una condizione di colonia interna da cui drenare ricchezza fino a che ce ne fosse e la cui economia fosse |
da sacrificare, se necessario, con le leggi protezionistiche, a partire dal 1876 fino a quelle gravissime del 1887 (e che rimasero complessivamente tali fino al 1904), che favorirono le industrie del Nord e decapitarono il Sud. Addirittura, in questo caso, Einaudi accusa i latifondisti meridionali di essere stati i complici di questi provvedimenti letali per l’economia meridionale, come se la produzione di grano duro del Tavoliere, di Terra di Lavoro e di alcune parti della Sicilia potesse essere stata la vera ragione dell’inserimento tra i prodotti oggetto di protezione doganale del riso, dei cereali, del mais, della barbabietola da zucchero. E cioè le produzioni prevalenti dell’agricoltura del Nord, dimenticandosi di proteggere l’esportazione degli agrumi, dell’olio, della frutta secca, dei vini sfusi (i vini in bottiglia del Piemonte furono protetti) che erano il nerbo portante della produzione meridionale. Davvero un economista non conosceva questo stato delle cose? |
L’economista, d’altra parte, insiste sul grado di arretratezza del Meridione e con una certa sottile accortezza lo riferisce a trent’anni prima e cioè al 1870. Si guarda bene dal riferirlo, tout court, al momento dell’Unità ben sapendo che il Sud fu prosciugato di ogni risorsa immediatamente e che economicamente non era in condizioni né migliori né peggiori del resto del Paese, come le recenti ricerche storiche hanno messo in evidenza, smentendo i precedenti studi che prendevano in considerazioni parametri molto diversi e statisticamente molto discutibili, utili solo a rappresentare il Meridione come area fortemente arretrata. Nel 1870, però, i giochi erano fatti e le carte già distribuite dalle abili mani di un baro. Per fortuna Einaudi “non muove nessun rimprovero ai meridionali”. Bontà sua! I “terroni” sentitamente ringraziano. I settentrionali erano “più civili” e per via di questo apodittico giudizio viene giustificato il fatto che siano state privilegiate le infrastrutture al Nord e si siano profusi molti milioni per il porto di Genova invece che poche migliaia di lire per qualche porto dell’Adriatico. Ecco la via maestra tracciata da questo professore piemontese per giustificare ogni iniquità di spesa! Da allora fino ad oggi. E’ con questo ragionamento che il porto di Gioia Tauro è stato collegato alla ferrovia soltanto nel 2022 come se fosse una benevola concessione invece di additare l’incredibile ritardo dell’opera per quello che è stato e cioè una scandalosa volontà di non rendere competitivo il porto meridionale |
rispetto a quello ligure per il quale, ricordiamo, sono stati destinati circa 3 miliardi dei denari del PNRR, nonostante tutti i pesanti dubbi sulla possibilità esecutiva del progetto della diga foranea, dubbi del resto immediatamente silenziati. E per continuare con Einaudi, il professore giustifica il maggior numero di scuole superiori create nel Nord rispetto al Sud con il fatto che erano già stati spesi più soldi al Nord per la scuola elementare. Un ragionamento darwiniano, di selezione della specie. Altro che fratelli d’Italia! Ma allora, per favore, niente arie di moralisti e di intellettuali. Nessuna comparazione di civiltà. Nessun inno di fratellanza. Allora è bene avere il coraggio di dichiararsi per quello che si è, lupi affamati, cannibali. E infatti per Einaudi il desiderio di cambiare le cose nell’Italia del 1900 può nascere dal fatto che anche il settentrione incomincia a sentire il peso dell’eccesso di fiscalità e di protezionismo. Non per |
ragioni di equità, non per porre rimedio a politiche disoneste, ma perché adesso il cambiamento è utile al Nord. E ancora non manca nello scritto di Einaudi la solita esortazione ai meridionali, che è insieme un monito e un rimprovero. “Liberatevi dal latifondo!”. Come se non fosse stato un compito dello Stato realizzare questa promessa fatta nel 1861 e mai mantenuta fino al 1950 e pure con modalità ormai superate dai tempi. |
“Dopo aver impedito al Sud di essere e di fare, si incominciò a rimproverare al Sud di non essere e di non fare”, scrive Pino Aprile. “Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato”, dice la nota canzone e quindi “scurdammoce o’ passato” e mettiamoci una bella pietra tombale sopra, continuando col considerare il Sud incivile e |
arretrato per sua quintessenzialità. E’ così perché è tautologicamente così. Un fatto razziale? Forse. Non c’è il coraggio di dirlo ad alta voce se non da parte dei leghisti, ma in fondo molti settentrionali lo pensano. Nessuno oggi si chiede il perché la “spesa storica”, di cui tanto si parla in questi giorni, sia stata da sempre inferiore al Sud come se l’aggettivo “storica” nobilitasse l’iniquità, l’ingiustizia e la rapacità disonesta delle scelte politiche di governi, è bene ricordarlo, guidati soprattutto da settentrionali sia per numero di presidenti del Consiglio, sia per numero di anni, compreso il ventennio del romagnolo Mussolini Benito. Certo, anche con il voto e il consenso di molti “ascari” meridionali che hanno agito e agiscono in danno della propria terra, in parte per profitto personale, in parte nella sudditanza ideologica alla |
parte più forte. E il Sud, ridotto a povera colonia economica e culturale da oltre 160 anni, non ha più idea di sé. Non ha alcuna fiducia in sé. Accetta di essere quello che altri dicono che sia. Anche Einaudi, con tutta l’autorità morale che incarna, ha contribuito a questo delitto, all’assassinio dell’identità e della speranza. Nonostante tutti i meriti di Einaudi, in questi due articoli si sostanzia un pensiero miserabile. E chi non riesce a leggere in questi due scritti quanta miseria ci sia è perché ne fa parte. |