Gli iscritti alla mailing-list di questo blog (qualche migliaio) stanno ricevendo un messaggio che suggerisce la riedizione de “Il potere dei vinti”, il mio primo romanzo, che pensavo sarebbe rimasto l’unico e, invece, è stato seguito, a distanza di molti anni, dal romanzo storico sull’epopea del Brigantaggio, “La brigante bambina”.
Ogni autore ha un libro che ritiene “più suo”. Per me, è proprio “Il potere dei vinti”. Perché? Intanto, è una sorta di saggio “tradotto” in romanzo: e io amo narrare, ma sono giornalista, saggista, non romanziere. Il tema trattato ne “Il potere dei vinti” temevo potesse risultare troppo ostico e, per questo, ho preferito virare sul romanzo, che abbassa moltissimo, di fatto azzera, l’altezza della soglia d’ingresso per il lettore: non gli pone la necessità di essere un interlocutore critico (salvo in questioni di stile), perché si presume che la storia narrata sia opera di fantasia.
In realtà, “Il potere dei vinti” analizza il rapporto di sudditanza che i vincitori impongono e gli oppressi accettano, anche se per liberarsene hanno un’arma risolutiva: il numero. Di cui non fanno quasi mai uso, perché “si dividono per giungere insieme alla sottomissione”, stando alla felicissima e amarissima sintesi di Goethe.
Questo viene rappresentato con la scelta del luogo in cui è ambientata la vicenda, Santa Maria di Leuca, Finis Terrae, in cui il protagonista va a sparire, per dimenticare il suo passato ed essere dimenticato, avendo visto crollare tutte le sue certezze affettive, professionali e politiche, con la caduta del muro di Berlino.
Ma non si può suggire a se stessi, e il protagonista viene posto dinanzi a conti da chiudere e a un progetto confuso per il nuovo millennio e il mondo che sarà e non si sa cosa, come, mentre ombre sconcertanti sono proiettate dal fortuito incontro con uno sparuto gruppo di potere planetario. Un cumulo di partite aperte che lo spingerà ad affrontare una prova estrema. Che avrà un prezzo.
Forse dovevo essere più chiaro, ma non potevo, perché in “Il potere dei vinti” ho dovuto trasfigurare alcune persone e alcuni fatti di cui ho avuto conoscenza diretta. E che non possono essere raccontati diversamente.
Credo che questo libro abbia visto la luce troppo presto, perché la distrazione della vita quotidiana non consente di coglierne lo sguardo sul futuro. Forse devono ancora accadere troppe cose, perché lo si possa meglio intendere.
