Come se la questione fosse il termine: “Terrone” usato dal quotidiano “Libero”. Le parole sono contenitori e cambiano valore e a volte significato, a seconda dell’intenzione di cui sono riempite. Terrone (sottinteso: di merda, nella vulgata leghista) può essere uno sputo verbale o divenire termine d’onore per ribaltare l’intenzione originaria, offensiva (vedi la parola “brigante” che, al Sud, da insulto, “delinquente”, è ora attributo d’onore, coraggio, lealtà, con la restituzione delle ragioni della loro scelta a quei meridionali che resistettero a un’invasione, una guerra non dichiarata, oppressione e saccheggio, prima ai francesi, poi ai sabaudi). Per capirsi meglio: ci sono altre parole non originariamente offensive (borbonico, meridionale) che vengono caricate di intenti denigratori di una intera storia e di un popolo e fatte diventare insulto.
Se il termine Terrone suscita tante reazioni negative, comparendo sulla pagina di “Libero”, la ragione non è nel termine, ma in “Libero”. Ovvero nel giornale che è il più sfrenato trombettiere della peggiore pancia della Lega, quella di “Roma ladrona” (come se 49 milioni fottuti dalla Lega li avessero rubati a Trastevere…), “terroni di merda”, “Vesuvio lavali tu” e via con gli altri parti della civiltà e della …cultura padana da nazistelli senza palle, visto che lo sono, ma non hanno il coraggio di dirlo. Solo alcuni fra i più colti ammisero di essere razzisti e antimeridionali, come Giorgio Bocca o Gianfranco Miglio.
Ho usato la parola “Terroni” come titolo di un mio libro, per spiegare come è stata costruita la Questione meridionale, prima con le armi, poi con un secolo e mezzo di politica discriminatoria e rapinatrice a danno del Sud (contrariamente alle chiacchiere sulle valanghe di soldi che il Nord produttivo “manderebbe” ai fannulloni di Terronia); ho intitolato un altro mio libro “Il Sud puzza”, per raccontare come nella Terra dei Fuochi siano debitori al Nord dei fetori di rifiuti tossici clandestinamente (e l’aiuto di settori “deviati” dello Stato, deviati nel senso che quella monnezza la dirottavano a Sud) scaricati nell’agro più fertile d’Europa; o come le lavorazioni siderurgiche dismesse a Genova perché nocive, siano trasferite a Taranto, dove le leggi “italiane” che proteggono salute e vita dei genovesi, sono violate con il permesso dei governi di ogni colore: centrodestra, centrosinistra e gialloverde (se muoiono terroni, non fa niente, è un aiuto alla selezione naturale per il miglioramento della “razza” italica, giusto? Prima che andassero al governo e firmassero quel genere di accordi, i cinquestelle avrebbe aggiunto: “vaffanculo”. Oggi firmano).
Un uso di queste parole chiaramente provocatorio, strumentale, e finalizzato a cosa? A usurarle, per eroderne le connotazioni offensive e farne pietre da lanciare, non da beccarsi in fronte. Operazione dichiarata, la mia, da tempo. La si può condividere o no, ma quello che ho scritto sotto quei titoli e quei termini è coerente con le mie intenzioni.
Se “Terroni” è adoperato da chi un giorno sì e l’altro pure scrive (contra veritatem) che Il Nord mantiene il Sud, che i meridionali sono fannulloni e delinquenti, che i pugliesi “si grattano le palle”, che se ci sono incendi estivi, nel Mezzogiorno, è perché “si bruciano da soli” (e chissà chi brucia boschi e discariche al Nord, d’estate e d’inverno), che i terroni diventano civili quando somigliano ai lombardi (Miglio, Feltri, Borghezio, Bossi, il Trota, Salvini…, hai presente? “300 mila calabresi perfettamente integrati” che risiedono a Milano e dintorni, e “ormai indistinguibili dagli indigeni. Perché? L’ambiente li ha raddrizzati e resi idonei ai costumi nostrani”. Azz!); beh, se a usare la parola “Terroni” è quel foglio, è vero che “di merda” non è scritto, ma l’eco ti raggiunge lo stesso, giusto o sbagliato che sia. Ove ci fosse intento offensivo, è reato: sentenza della Cassazione.
La Lega ha il suo senatore nero, e il sistema nordico di potere che ha colonizzato il Sud ha i suoi coristi terroni ed evoluti, perché consenzienti. Come i razzisti cominciano i loro discorsi con la frase “Non sono razzista, ma…”, i terroni padanizzati di complemento premettono di essere fieri dell’origine meridionale, “ma…”. Con un doppio sillogismo: non c’è alcun merito nel nascere qui o là; non lo scegliamo, né la latitudine dà qualcosa di buono o di brutto, come se fosse funzione della distanza dall’Equatore (siamo solo certi che ci si abbronza di più avvicinandovisi); né l’essere del Sud autorizza a dire, nel bene e nel male, qualcosa in più o in meno rispetto ad altri. I primi meridionalisti furono quasi tutti del Nord, in ispecie lombardi, e uno dei migliori in assoluto fu il bresciano Giuseppe Zanardelli.
Ma “sono meridionale, però…”, è molto utile al sostegno di certe tesi, perché non si dimostra se siano vere o false, ma si oppone: “lo dice anche Tizio, che è terrone”. Come se un terrone non potesse dire puttanate o commettere un errore. Cominciava a quel modo un (tristemente) famoso articolo del direttore generale della Banca d’Italia (istituzione dura lex con il Sud, vedi il Banco di Napoli, e permaflex con il Nord, vedi Monte de’ Paschi, Banca Etruria, Veneto Banca, Popolare Vicenza…), Salvatore Rossi, che da meridionale scriveva cose sorprendenti, negando che a Sud lo Stato mandi meno soldi che a Nord. Fu subito smentito da due suoi concittadini (baresi, quindi terroni, come lui), il dottor Alessandro Laterza, dirigente confindustriale, e il professor Gianfranco Viesti, docente di economia applicata, che sciorinarono i dati dei Conti pubblici territoriali, ente non sospettabile di faciloneria o partigianeria, da cui risulta che la differenza fra quanto lo Stato italiano dà a un settentrionale, ogni anno, e a un meridionale, è di circa 4.340 euro, qualcosa che somiglia a 80 miliardi di euro in meno, calcolando una ventina di milioni di meridionali. All’anno. Roba che se i terroni fossero trattati come cittadini italiani di prima qualità (quelli che ruttano a Pontida e ce l’hanno duro: e per tenerci a farlo sapere, deve trattarsi di qualcosa di inconsueto. Un fatto abituale non fa notizia), nel giro di due tre anni avremmo treni, alta velocità, autostrade, università attrezzate… e due ponti sullo Stretto: uno per chi lo vuole e uno per chi non lo vuole, da buttare giù.
Riassumo: le parole sono innocenti, nel senso che hanno le intenzioni di cui le carica chi le usa. “Terroni” usato da “Libero” non ha lo stesso suono e significato della mamma che chiama il suo piccolo “terroncello mio!”, per travolgere con il dippiù di amore persino l’origine offensiva del termine; come quando “brigante” smise di essere inteso come “criminale”, e “brigantiello mio” divenne rivendicazione di carattere e forza del proprio pargolo.
Per essere più chiari: sono tarantino e da noi ci si saluta così: “Ci t’è mu(e)rt!”. E la risposta non è un pugno sul naso, ma: “Ci t’è stramu(e)rt!”. A voler scavare, si scorgono tracce della stima per “Chi fur li maggior tui”; la gente da cui veniamo, in battaglia, prima di incrociare le armi, vedeva i campioni guerrieri porsi fra i due schieramenti e vantare le proprie ascendenze, le mu(e)rt sue.
Ma se non lo dici così, ci tè mu(e)rt, e gli tocchi i morti!!!, il tarantino non solo lo capisce, ma pure il tuo naso capisce che hai fatto un errore.
2 Comments
francesco lupo
Rimango dell’ idea che il termine terrone sia da abolire e da considerare sempre discriminatorio. Non vedo nessuna differenza di significato a seconda di chi lo usi. Detto questo condivido pressocchè tutto ciò che scrivi e che dici soprattutto riguardo le discriminazioni di tipo economico di cui il sud è stato oggetto. Da napoletano residente da troppo tempo in Piemonte vorrei esprimere il desiderio di vivere in un mondo di cittadini del mondo in cui il luogo di nascita sia solo un dettaglio insignificante
Pino Aprile
Sottoscrivo; salvo che, ovviamente, su terrone…