Il “Don Alfonso”, mitico ristorante (si fa fatica a chiamarlo così: è un tempio del gusto e della cultura gastronomica meridionale da oltre un secolo) di Sant’Agata sui Due Golfi, fra Costiera Sorrentina e Costiera Amalfitana, è il migliore d’Italia e il terzo al mondo, per “La Liste”, la selezione dei migliori ristoranti del pianeta, basata sui giudizi di centinaia di guide specializzate e milioni di recensioni anonime.
Un successo meritatissimo, ma che inorgoglisce lo stesso. La famiglia Iaccarino è una specie di dinastia dedita, da oltre un secolo, alla tutela, alla riscoperta e alla divulgazione delle radici gastronomiche del Sud. La scelta vincente della loro ospitalità (non solo a tavola) è nel proporre quali eccellenze (e tali sono) i sapori della cucina mediterranea “povera” (per chi misura le cose dal loro prezzo) e che lo scopritore della dieta mediterranea, il professor Ancel Keys, dimostrò essere la più idonea e salutare per il corpo umano.
Gli Iaccarino li devi conoscere per capire la ragione del loro successo: Don Alfonso ora è il front-man della storia di famiglia, più impegnato in missioni di divulgazione nel mondo (magari su richiesta del nostro ministero degli Esteri) che in cucina; dove domina l’attuale leader dei fornelli, Ernesto che, a dirla tutta, un po’ ti sfianca, perché è tale perfezionista che rischia di essere l’unico capace di trovare “ancora insufficiente” quello che fa (e sapete come, visti i risultati, anche se ancora non ci avete mangiato, lì); Mario, il fratello, è il signore della sala, a diretto contatto con gli ospiti, ambasciator di cotanta storia; Livia è il collante e il motore di questo suo mondo tutto maschile, fra marito e figli e, senza offesa per loro, quasi la vestale della religione culinaria degli Iaccarino: almeno, questa è l’idea che me ne sono fatta, quando la sentii descrivere la cura del sapore di un pomodoro, dalla coltivazione (l’orto, la vigna…, tutto in famiglia), alla raccolta, al piatto.
Quello degli Iaccarino non è un ristorante, non è un albergo, non è un orto, non è una vigna (con vitigno del piedirosso, ‘o per ‘e palomm, recuperato dagli scavi archeologici di Pompei) è un centro culturale d’eccellenza.
Quando Giulio Tremonti diceva che “con la cultura non si mangia” e Luca Zaia definiva “quattro sassi” la Pompei dissepolta si basavano su criteri di valutazione primitivi, di chi non sa che non solo con la cultura si mangia (l’azienda degli Iaccarino è una potenza economica), ma che la cultura è buona, perché te la puoi pure mangiare e ti fa bene. Ovviamente, in ogni sua espressione, la cultura vuole i suoi artisti.
Complimenti Alfonso, Livia, Ernesto, Mario. E un abbraccio (non vi dico più: ci vediamo presto, per non fare un’altra brutta figura. Ma… ci vediamo!).
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4 Comments
mirko
Tremonti e Zaia esprimono la rozzezza di un certo Nord, a cui interessano solo gli sghei.
Non credo però che siano insensibili alle bellezze artistiche e naturali di casa loro…..
Pino Aprile
non ne hanno dato molte dimostrazioni, vedi Venezia…
Maria Franchini
Gli Iaccarino meritano questo ed altro: ha ragione Pino scrivendo che la cultura si può anche mangiare, perché i quattromoschettieri della gastronomia difendono la loro terra facendola amare anche con il palato. Si li vedi prima di me, caro Pino, abbracciali da parte mia.
Pino Aprile
lo farò!