LE ACCUSE AL MAGISTRATO SOMIGLIANO A QUELLE FATTE A SUOI COLLEGHI. CUI DOBBIAMO TANTO
Ma può un magistrato dire che vuole smontare la Calabria, come si fa con i lego, e rimontarla? Può dire alla “società civile” (io mi fiderei più dei cafoni, considerato che i primi si corrompono per convenienza e connivenza, i secondi per ignoranza o estremo bisogno): riempite gli spazi che vengono liberati dal male?
Può il dottor Nicola Gratteri…? Continuate l’elenco; lo trovate sui giornali.
VI RICODATE COSA DICECANO A CHINNICI?
Ed è corretto che un magistrato abbandoni la sacralità delle aule di giustizia per andare nelle scuole a parlare di Cosa Nostra, perché sostiene che “la cultura mafiosa può essere sconfitta sono da una cultura dell’antimafia”? Che domanda: certo che può, chi oserebbe dire, oggi, che non sia opera di altissima educazione civile quella di un magistrato che lo fa? Ma quando Rocco Chinnici (a volte vorrei essere credente, per poter avere certezza di un’altra vita in cui incontrare Chinnici e dirgli: “Dottore, forse lei non ricorda: sono quel giovane cronista cui lei dedicò una lezione durata un giorno, una vigilia di ferragosto, in una Palermo deserta. Vorrei dirle ancora quanto la ammiri, quanto le dobbiamo, quanto mi sentii e mi senta piccolo dinanzi a lei. Grazie”), ma quando Rocco Chinnici fece questo, destò scandalo nei sepolcri imbiancati contigui al potere mafioso, ci fu chi spiegò che così si intaccava la dignità della magistratura e che il Consiglio superiore avrebbe dovuto porre un limite a quelle inopportune iniziative.
E A FALCONE?
E può un magistrato andare al Maurizio Costanzo show, sul palco in piazza con Michele Santoro, fare un libro-intervista con una giornalista, persino tenere rubriche sui giornali? Certo che può, diremmo oggi. Ma quando lo faceva Giovanni Falcone, lo accusarono di voler diventare una star: “le sirene della notorietà televisiva tendono a trasformare in ansiosi esibizionisti anche uomini che erano, all’origine, del tutto equilibrati”, scrisse Sandro Viola, penna principe di Repubblica (di allora), non di parodie di giornali, sino a fogli semi-clandestini, ma foraggiatissimi ventriloqui di poteri impresentabili ma noti. Quell’articolo (non fu il solo) è stato recuperato da Fanpage. Falcone era detto in preda al “più indecente dei vizi nazionali. Quella smania di pronunciarsi, di sciorinare sentenze sulle pagine dei giornali o negli studi televisivi, che divora tanti personaggi della vita italiana”.
E A BORSELLINO?
E può un magistrato infastidire un’intera città con i suoi spostamenti a sirena spiegata, come se fosse necessario far sapere chi è che si muove… Non si potrebbe farlo con maggiore discrezione? Non si arrivò a “silenzio, che qui c’è chi dorme!” (la coscienza, si sarebbe risposto…), ma quasi. Peccato che le sirene le impongano le norme di sicurezza e non furono sufficienti a salvare Paolo Borsellino, il magistrato cui si rimproverava quel baccano. I disturbati nella loro quiete pubblica non ebbero nulla da dire del boato che rese mute per sempre le sirene della scorta di Borsellino e la sua opera.
Può…?
I PROCESSI ESISTONO PER CORREGGERE GLI ERRORI
Può. Deve. Scrivi, Nicola Gratteri, parla, intervieni, deborda. Farai tutto bene? No, lo sappiamo già e sarà una tragedia per le persone che per circostanze avverse saranno coinvolte e poi scagionate in una inchiesta di tali dimensioni (più di 330 arresti). È fatale che avvenga: si tratta di un’opera umana, per quanto la si voglia ben condurre, fallibile e imperfetta come il conduttore, quale homo sapiens. Perché, non ci sono errori giudiziari anche quando l’imputato è uno solo? Li vogliamo giustificare? Non dichiamo sciocchezze; si vuol solo dire che non ha senso prendere le distanze da un’azione giudiziaria per il rischio di errori (e pure la certezza: i processi servono a questo, a correggere; almeno finché si può, se ci si riesce. La magistratura non è scienza e non si può chiederle più che a questa che “procede per tentativo ed errore”, secondo la norma di Galileo. Brutto ricordarlo, ma è la verità). E, se devo dirla tutta, la sensibilità verso i diritti scalfiti, messi a rischio, sembra direttamente proporzionale al potere del titolare del diritto. Devo ricordare la colossale campagna di stampa, televisiva, politica in favore dell’uscita dal carcere di Marcello Dell’Utri, in galera per reato di mafia (ora ha scontato la pena), perché malato? Tutto in regola? Certo, che motivo avremmo di dubitarne? Ma se si deve giudicare dallo sdegno mediatico-politico, si deve dedurre che in galera, malato, c’era solo lui; i morti di fame stanno tutti bene. E muoiono a sorpresa “scoppiando di salute” dietro le sbarre.
Ma può il dottor Gratteri usare un linguaggio così forte, fuori misura per la dignità giudiziaria? Sono il meno titolato a parlarne, perché accusato, senza manco essere magistrato, di terminologia, metafore, espressioni troppo forti. Ma io, in questa forma di comunicazione esplicita sino alla brutalità, vedo voglia di chiarezza, di onestà intellettuale che preferisce rischiare l’eccesso di illuminazione pur di non lasciare nulla in ombra.
LINGUAGGIO PROPORZIONATO A SUNA SMISURATA INGIUSTIZIA STORICA
Non voglio sostenere che la ragione del mio scrivere duro, a volte urlato, sia la stessa che induce il dottor Gratteri a dire quel che dice e a dirlo come lo dice (un po’ lo sospetto, però), ma come si può chiedere misura a chi ha acquisito coscienza e prove della smisurata, ultrasecolare ingiustizia storica, economica, politica e addirittura politico-criminale che opprime la propria vita, quella dei suoi figli, della sua gente, della sua terra? Leggetela in altro modo (quello corretto, a mio modo di vedere): la misura dell’urlo e delle parole è la stessa dell’ingiustizia, dell’offesa, del dolore.
Smontare e rimontare con i lego? La Calabria? La Calabria e il Paese, dottor Gratteri. E siccome si comincia da dove il danno e il dolore sono più forti, giusto cominciare dalla regione letteralmente massacrata da questo Stato di cose, da quei connubi politico-settari-criminali che governano tanta parte dell’economia e prostituiscono strumenti di democrazia.
OGNUNO COME SA, OGNUNO COME PUÒ
Smontare e rimontare? Ottimo progetto, cittadino Gratteri. Chi da magistrato, chi da operaio, chi da insegnante, chi da imprenditrice, chi da intellettuale, chi da prete, chi da gelataia, chi da studente, chi da madre, chi da nonno, chi… Cercando ognuno di farlo al meglio, correggendosi, correggendo e scusandosi, per gli errori, ma prepariamo i tasselli. Ognuno il suo.
Il lego siamo noi.[wbcr_text_snippet id=”1252″ title=”Firma a fine articolo”]
Nella foto: Nicola Gratteri, Elia Minari e Pino Aprile, al premio antimafia Rosario Livatino