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FATTO 20… FACCIAMO 21

L’INARRESTABILE CRESCITA DEL MAGGIOR MOVIMENTO MERIDIONALISTA DI SEMPRE

Fatto 20…, facciamo 21: questo l’anno che abbiamo atteso. Ci siamo quasi. Per strada abbiamo perso un po’ di opportunisti, pavidi, qualcosisti, tiepidi, alcuni ambiziosi che pensavano di salire su un’idea e un sentimento diffuso, come su un taxi, per obiettivi propri, non di tutti. Ma abbiamo continuato a crescere di numero, ambizione e capacità. Non importa quanti siamo, importa essere quelli giusti. Solo la pazzia di crederci ci farà riuscire. E una volta arrivati, ce li rivedremo tutti intorno, sapendo già chi e cosa sono.

C’è stupore, negli osservatori della nostra avventura, per la velocità con cui dilaga il Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale, nato in un bosco appena un anno e cinque mesi fa, e già capace di dettare l’agenda politica ai partiti di governo, sul più imponente programma di spesa nazionale di sempre, il Recovery Fund; capace di proporre uno studio sui criteri di ripartizione che convince il Parlamento a farlo proprio e a votare in tal senso, contro le indicazioni del governo; e di riunire i presidenti delle Regioni del Sud, per la prima volta in mezzo secolo, con una iniziativa contro il governo e le Regioni del Nord, in difesa dei diritti del Mezzogiorno. Ma, ancor prima di nascere ufficialmente (atto notarile, tesseramento, nome e logo depositato: Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale, M24A-ET), il gruppetto di fondatori aveva organizzato l’opera di informazione e divulgazione (con il massiccio sostegno all’appello pubblico del professor Gianfranco Viesti), che ha portato al blocco dell’Autonomia differenziata, ormai da più di due anni.

E ora le elezioni regionali in Calabria, ovvero nel posto e nelle condizioni peggiori in assoluto. Perché non cominciare da un punto più facile? Perché abbiamo fretta di cambiar le cose, di mandare a casa i poteri masso-mafiosi di politici e imprenditori corrotti, collusi e non vogliamo girarci attorno, ma colpirne il centro. Presuntuosi? Lo vedremo alla fine. E per noi, finisce quando avremo vinto, non prima, per quanto difficile potrà rivelarsi (non ci illudiamo, ma non è previsto il pareggio).

A chi si stupisce di questa, diciamo così, potenza di fuoco di un gruppo di persone senza mezzi, finanziamenti, organi di stampa, sfugge una cosa: è il frutto di una lunga selezione. In dieci anni, ho girato il Sud come nessuno mai, prima, fermato solo dal lockdown; sono stato anche in cinque città diverse nello stesso giorno; ho incontrato centinaia di migliaia di persone, e sono milioni quelle con cui ho stabilito contatti tramite i social, raggiunto con i miei libri, le partecipazioni a trasmissioni tv e radio.

E quando capivo di avere di fronte qualcuno di valore, o di buona volontà, ne prendevo nota, stabilivo rapporti, lo ponevo in contatto con altri, suggerivo aggregazioni, iniziative… Ho fatto il collezionista di energie da spendere su un progetto. Ancora oggi, molti di loro ci ridono, visto che non ricordo chi di loro mi ribattezzò, mutuando uno slogan della Nokia, “Pino connecting people”: ho distribuito più numeri di telefono io che un call center. E poi facevo i controlli: vi siete parlati? Quando vi incontrate? E il progetto lo avere varato? Tanti, poi, a loro volta, sono diventati “agenti di connessione”.

Dieci anni così. Non pensavo a creare un Movimento. Lo facevo perché provvedessero loro. Ma proprio quella mia opera ha finito per rendermi, purtroppo (per me: non sono più padrone del mio tempo), il punto di raccordo. Certo, errori ne ho fatti, sorprese ne ho avute, belle e anche molto brutte. Più di qualcuno che blaterava (ma io li prendevo sul serio, e non solo io) di meridionalismo, identità, vite da spendere “per i figli e nipoti”, si è scoperto che pensava solo a usare un’azione comune per la realizzazione di progetti personali, con ambizioni più grandi delle proprie capacità. E quando non ha avuto quello che si era promesso, più di un “lider maximo” incompreso, si è trasformato in “odiatore” sui social, spargitore di veleni in un campo cui questi guastatori dicono di appartenere ma vorrebbero distruggere, perché non corrisponde alle loro attese (sproporzionate, non solo alle loro capacità, ma alle stesse possibilità del campo). Persino persone con cui ritenevo fosse sorta un’amicizia vera si sono rivelate altro; l’opportunismo di alcuni alla fine ha prevalso e li ha rivelati, ponendoli ai margini. Un paio, e in particolare uno, sono stati l’inimmaginabile: persone cui avresti consegnato le chiavi del nascondiglio della tua famiglia, se ti avessero catturato i nazisti, convinto che l’avrebbero protetta come fosse la propria, e scopri che l’avrebbero consegnata alle SS.

Ma i percorsi di vita, non solo di grandi progetti, sono raccontati da ferite e cicatrici, la cui trama è il disegno stesso dell’impresa, delle scelte, giuste e sbagliate, delle illusioni e degli errori: sono una biografia fatta con i segni dei colpi ricevuti. A volte diventano medaglie. Ma ognuna rimanda a un dolore la cui traccia è chiusa, non scomparsa; e qualcuna stenta a chiudersi. Vale per ognuno di noi.

Al tirar le somme, però, queste delusioni sono il trascurabile dettaglio di una comunità forte e crescente, motivata, capace. Il cui operato appare tanto lusinghiero agli occhi altrui, quanto insoddisfacente ai nostri, che negli occhi abbiamo la meta non ancora raggiunta, perché la lunga attesa rende impazienti. Questo, però, non deve nasconderci che i risultati ottenuti in così poco tempo sono straordinari. Mai un movimento meridionalista (intendendo con questo un’idea di equità che va oltre il Sud, ed è universale) aveva assunto tali dimensioni, mai aveva contato tanto, non avendo nemmeno un parlamentare, un consigliere regionale. In un anno siamo presenti in tutte le regioni d’Italia e all’estero, siamo fra i protagonisti del primo confronto elettorale del 2021, ce la giochiamo con (contro) partiti che hanno dalla loro parte tutti i poteri possibili. Loro hanno un passato, noi il futuro. Che sta diventando, e forse già è, presente.

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