La legge o l’uomo? La vicenda del sindaco di Riace, Domenico Lucano, detto Mimmo dei curdi o Lucano l’Africano, che ha violato la legge (almeno, questa è l’accusa per cui è agli arresti) per aiutare dei migranti, pone un quesito su cui l’umanità si interroga e dilania da migliaia di anni.
È legittima, da rispettare, una norma che costringe a violare norme più profonde che ci rendono umani? E chi stabilisce qual è il confine fra la norma che tutela la comunità e l’applicazione che può renderla inumana? (Parliamo, ovvio, di leggi concepite per il bene, non di quelle che dichiarano legale lo sterminio degli ebrei, la schiavitù, la discriminazione).
E cosa induce una comunità a rivedere norme che portino a un tale conflitto, se non l’appellarsi di alcuni a ragioni più alte di quelle che motivano una legge? Come per la geografia, non si scoprono altri mondi, se non si va oltre le frontiere. Ma le frontiere servono a definire mondi, se un ordine e una possibilità di convivenza si reggono su quelle.
Ovviamente, l’esploratore lo fa a suo rischio, che preferisce al rimprovero della propria coscienza. È stato ricordato che tutta la tragedia greca, o quasi, gira intorno a questo indefinibile e mobile confine fra potere della legge e legittimità della legge (strumento umano di approssimazione alla giustizia).
“Né davo tanta forza ai tuoi decreti, che un mortale potesse trasgredire leggi non scritte, e innate, degli dèi. Non sono d’oggi, non di ieri, vivono sempre, nessuno sa quando comparvero né di dove»: è Antigone (Eschilo), che viola l’ordine del re di lasciare insepolto Polinice; condannata a vivere in una grotta, si suicida, e lo si scopre, quando re Creonte decide di liberarla. Questo indurrà al suicidio anche Emone, figlio di Creonte e innamorato di Antigone; ed Euridice, moglie di Creonte. Che resta solo con la sua legge che gli ha sterminato la famiglia.
Ma preferisco dirlo con una vicenda più vicina ai nostri giorni: quando si ebbe l’emigrazione in massa da Cuba, nel secolo scorso, su ogni catorcio galleggiante, ci fu una gara di solidarietà per soccorrere i naufraghi. Ma in pochi mesi, quel sentimento divenne di insofferenza, xenofobia e fu varata, dagli Stati Uniti, una legge che puniva per complicità in immigrazione clandestina, chiunque aiutasse i disperati che si affidavano al mare su copertoni di camion, zattere improvvisate, barche tenute insieme con lo sputo.
Il capitano di una nave incrociò uno di questi relitti, con il suo carico umano ormai mezzo affondato, a portata di fauci dei pescecani. Fermò le macchine e fece recuperare quei disperati. Appena toccò terra, fu portato in tribunale, processato d’urgenza, come disponeva la legge, e condannato. Gli venne tolto anche il brevetto di capitano. Il giudice gli chiese se avesse qualcosa da dire. Ricordo a memoria, parola più, parola meno, la sua risposta: «Ho pena per lei, signor giudice, costretto ad applicare una legge inumana. Io sono più fortunato, avendo potuto rispettare una legge più antica e più profonda, che è di noi marinai, ma vale anche a terra: “Se vedi un uomo affogare, tendigli una mano”».
Al capitano non fu più concesso di pilotare una nave; visse come skipper di barche a vela che portavano in crociera turisti nei Caraibi. Il mare era la sua vita. Lo cercai, volevo incontrarlo. Non ci riuscii. Lessi una sua intervista: le navi gli mancavano, ma la cosa non gli pesava più di tanto, perché non aveva conflitti di coscienza. E un uomo non può chiedere sorte migliore. Lui aveva potuto scegliere, il suo giudice no. Forse. Aveva ragione: era stato più fortunato.
LA PETIZIONE: IO STO CON MIMMO LUCANO https://www.change.org/p/io-sto-con-mimmo-lucano