LA “FESTA” PER INAUGURARE L’OSPEDALE IN FIERA, VIOLANDO LE NORME ANTI-CONTAGIO
“Solidarietà: sentimento di fratellanza, di vicendevole aiuto, materiale e morale, esistente fra i membri di una società, una collettività”: copio dal vocabolario di Nicola Zingarelli (da Cerignola). E ora provo a seguirne le tracce in alcune manifestazioni di questi giorni.
Ce ne vuole di presunzione e di irriconoscenza, per dire le cose del presidente della Lombardia, Attilio Fontana, alla festa-conferenza-stampa con cui si è inaugurato il nuovo ospedale, ovvero l’area della Fiera attrezzata a centro di terapia intensiva (se fosse passato di lì un vigile urbano, una guardia campestre, avrebbe fatto multe da tremila euro a tutti, per mancata distanza relazionale, a cominciare da Fontana: manco si fosse al mercatino di Padova della sera prima, per assembramenti. Quale esempio è stato dato da chi fa le regole e le viola? Come può reagire uno che vede questo e poi, magari per ignoranza, si becca la mazzata da tremila euro? Bene ha fatto il sindaco di Bari e presidente dei sindaci italiani, Antonio De Caro, a farlo notare pubblicamente: le conferenze stampa si possono fare sul web, altro che inaugurazione di massa al tempo del virus!).
“AUTONOMIA” CON MEDICI CINESI, CUBANI, ALBANESI, MALATI IN GERMANIA E AL SUD
Ci fosse già stata l’Autonomia differenziata, ha avuto il coraggio di dire Fontana, se la sarebbero cavata meglio, in Lombardia, prendendo un migliaio di medici. Siiì? E per farne cosa, se il reparto di terapia intensiva lo stanno facendo adesso? E chi impediva a Fontana di prenderli? Il suo collega veneto, Luca Zaia, lo ha fatto. Non solo, Fontana dice che la Sanità lombarda ha mostrato pure nella tragedia del covid-19 di essere una eccellenza. E certo, fra “andate a divertivi, non è niente” a “non uscite di casa, è una tragedia”, tanto che siano il Paese con più morti al mondo, superando pure la Cina, che ha un quinto della popolazione mondiale. E come mai si è dovuto correre, la solidarietà degli italiani, la protezione civile, il Settimo Michigan…, per dotare la Sanità più ricca e grande d’Italia di 250 letto di terapia intensiva? Forse perché con quelli si guadagna poco e la Lombardia, avendo appaltato gran parte della Sanità a privati, ma nutriti di soldi pubblici (e un po’ di argent de poche, ovvero mazzette per maneggioni, manager, presidente e vice presidenti della Regione) era solo dodicesima, nella classifica nazionale di terapia intensiva, avendo un sesto della popolazione italiana? In rapporto al numero di abitanti, meno posti-letto della Calabria, ovvero la peggiore regione d’Italia per la Sanità.
L’incredibile Fontana vanta l’efficienza dell’Autonomia lombarda, e quando sarà finito il disastro bisognerà riparlare, nel senso di accrescerla. Sì? Questa Autonomia senza medici cinesi, albanesi, cubani, russi, appelli al reclutamento di volontari (hanno risposto in massa dal Sud) e pensionati ultra ottantenni, e l’invio di malati lombardi nel Mezzogiorno, in Germania, cosa avrebbe fatto da sola? Per tacere delle centinaia di migliaia di persone evacuate, con la complicità di fatto di autorità regionali e nazionali, nel Sud e nelle regioni delle doppie case dei lombardi a distribuire un po’ di guai da virus anche nel resto d’Italia, e alleggerire il problema il Lombardia.
PERCHÉ IL VENETO, CON POSTI-LETTO LIBERI, NON HA ACCOLTO MALATI LOMBARDI?
Autonomia che grazie alla Protezione Civile ha potuto far convergere in Lombardia tutto quello che serviva, sottraendolo agli altri che, è pur vero che non avevano da affrontare una tragedia come quella del Nord, ma è anche vero che, chi più chi meno, i guai li avevano tutti e, per come potevano, cercavano di mettersi in grado di fronteggiarli. Tutti sono stati sguarniti, quasi con ferocia, per meglio combattere il virus, dove stava uccidendo di più. Criterio discutibile? Discutiamone. Giusto? Sbagliato? Quale che sia la vostra idea: perché non è stato applicato anche in Veneto? Perché il Veneto, dopo l’Emilia Romagna è la regione più colpita. Vero, ma come mai i malati lombardi sono stati inviati nei pochi, pochissimi posti di terapia intensiva al Sud e all’estero e nemmeno uno nel 60 per cento dei posti inutilizzati del Veneto?
Anche la distribuzione delle attrezzature presenta aspetti che non sono, diciamola così, di pronta comprensione: scarsi 1,6 milioni di pezzi in Trentino, che ha un milione di abitanti, e meno di 1,2 milioni in Sicilia, con più di cinque milioni di abitanti, ancora meno aiuti in Puglia, con quattro milioni e più di abitanti (26 ventilatori in Trentino, 16 in Puglia). Ci sarà una logica, ma sfugge. E mentre quasi tutto o comunque moltissimo (cosa ovvia, dal momento che la Lombardia è l’area più colpita) viene inviata a Milano e dintorni, le autorità regionali continuano ad accusare il governo di dar troppo poco; tanto che il commissario governativo, Domenico Arcuri, decide di pubblicare, giorno per giorno, quanto di cosa è distribuito a chi. Così emerge “il caso delle mascherine” che l’assessore lombardo dice di non aver avuto, Arcuri garantisce di aver inviato, e mostra la mail della delegata della Regione Lombardia che conferma l’arrivo del materiale.
FINO A DIECI VOLTE I MORTI DEL 2019, NELLO STESSO PERIODO, MA POCHISSIMI, QUASI NESSUNO PER IL VIRUS: COME MAI?
Diciamo che in situazioni del genere può succedere che la mano destra non sappia cosa fa la sinistra, il dramma è quando non si tratta di mascherine, ma di vite umane: che i conteggi ufficiali di vittime e contagiati fossero discutibili era ormai chiaro, ma un’inchiesta dell’Eco di Bergamo rivela dati agghiaccianti: a Caravaggio, a fine marzo, già 50 morti; negli anni precedenti, in media, solo sei, ma di questi 50, soltanto due sono ufficialmente classificate a causa del Covid-19. E le altre 48 (otto volte la media), di cosa? A Dalmine 70 morti (18 l’anno prima), di cui due per coronavirus (ufficialmente), e gli altri 68? A Seriate, su 60, solo 9 figurano uccisi dal virus; a San Giovanni Bianco, 30 vittime in due settimane, ma solo quattro dichiarate per coronavirus; a Bagnatica 16 morti, ma, ufficialmente, tre soltanto per l’epidemia; a Selvino 20 morti, quanti ce ne furono nell’anno e mezzo precedente; a Nembro, 14 morti nel 2019, 110-120 nello stesso periodo del 2020; ad Alzano Lombardo sono passati da 9 a 62; a Terno d’Isola, da 1 a 12.
Quante sono, davvero, le vittime dell’epidemia si chiede, senza che nessuno sappia o voglia rispondere (forse si ha paura di chiedere, di sapere la verità). Verrà il tempo di queste ricostruzioni, ma se già attribuendo un decimo, un ventesimo dei morti al virus (e Bergamo è la città lombarda più devastata dall’epidemia; la Lombardia più devastata di tutte le altre regioni messe insieme), l’Italia in poco più di un mese ha avuto più morti della Cina, 25 volte più popolosa, qual è la dimensione vera della strage?
E in questo cupo scenario da peste manzoniana (mi dite qual è la differenza fra il carretto dei monatti con i corpi dei morti, cui consegna quello della figlia una madre che “scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci” e la fila degli autocarri militari che nel silenzio degli affetti portano salme a incenerire altrove?), la festa dell’inaugurazione del nuovo ospedale in Fiera a Milano, con scempio di ogni regola anti-contagio. A proposito di provincialismo, la cosa è stata celebrata sui giornali della città come la conquista della luna: è stato fatto, in condizioni terribili e in tempi ristrettissimi, un gran lavoro e ne va reso onore a tutti, ma da qui a scrivere che il vero miracolo è questo e non la troppo decantata costruzione di ospedali in Cina, in due settimane! Va bene tutto, ma lì non hanno attrezzato uno spazio già esistente, hanno proprio costruito l’ospedale! Fosse pure brutto da vedere, non lo so, ma l’hanno costruito!
MA L’OSPEDALE IN FIERA È FINITO O DA FINIRE?
E quindi, adesso, a Milano hanno 250 posti-letto di terapia intensiva in più, giusto? Beh, non proprio… L’ospedale è “finito” (e pure inaugurato, il 31 marzo), ma il primo malato potrà essere ricoverato, si apprende, dopo una settimana o poco più. E avremo, non il 31 marzo, ma l’8 aprile, 250 posti-letto? Beh, no si arriverà a 24 e, mano mano, a 50 e poi, col tempo, a 100 e poi…, poi alcuni dicono 200, altri 250. Quindi l’ospedale è finito in due settimane, poi bisognerà finire qualche altra cosa per far entrare il primo malato, e poi i primi 24, e poi i primi 50…
Se serve a dare conforto a un Paese spaventato, recluso in casa, chi ha il peso di una tragedia da gestire può anche usare una comunicazione rassicurante. Ma quando si faranno i conti a bocce ferme, forse potremo calcolare quanti danni abbia fatto lo scollamento di poteri e azioni persino conflittuali (lo stesso ospedale in Fiera è stato fatto dalla Lombardia contro i piani della Protezione civile) fra governo e regioni e queste fra di loro; e chiederci se una gestione non frazionata della Sanità ci avrebbe evitato qualche spreco, qualche errore, qualche lutto.
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2 Comments
Antonio Squillace
Intanto però, caro Pino, anche oggi sulla prima pagina del “Corriere della sera” campeggia la solita foto della Pignasecca “affollata” e una strada di Roma, ma nulla su Milano che ha ancora il numero più alto di persone in termini percentuali, per strada, ma loro, si sa, lavorano…Il solito ascaro Polito ma tant’è! Bella risposta di Umberto De Gregorio sul Corriere del Mezzogiorno intitolato “Se il nord non vuole vedere che il Sud rispetta le regole”. Siamo stanchi di questa stantia propaganda pro-nord a discapito del Sud. Cos’altro dovrà succedere per moderare questi cialtroni dell’informazione? Cordialità Antonio Squillace
Pino Aprile
eh…, ma credo che le cose stiano piano piano cambiando