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DIARIO. COME NE USCIREMO? O UN’ITALIA EQUA NORD-SUD O A PEZZI

DOPO LO CHOC DEL VIRUS, O FINISCONO GLI EGOISMI O FINISCE DI ESISTERE QUESTO PAESE

Come ne usciamo? Perché prima o poi ne usciamo (lasciate stare le scadenze annunciate), questo si sa; quello che non sappiamo è come, perché non ci sono molte vie di uscita: o un’Italia finalmente equa e unita, o a pezzi.

Non abbiamo mai vissuto un’esperienza come questa: siamo le generazioni cresciute non con il problema, ma con la soluzione: “Sto male”. “Prendi questo”. Abituati non a considerare un successo la sconfitta del malanno, ma una intollerabile manchevolezza del medico, della scienza, dello Stato (“con tutti i soldi che paghiamo di tasse”) l’incapacità di risolverlo. E le epidemie erano un residuo della storia (medioevo, la peste), incompatibili con la civiltà (la nostra, ovvio!), tant’è che, come antropologi supponenti, le ritenevamo ancora possibili in tribù sopravvissute al tempo (Africa) e in luoghi in cui il tempo sembra scorso invano (Napoli, colera, you know? E giusto la supponenza, che suppone anche una base di ignoranza, può farci trascurare che l’Africa ci tiene qualche tribù come la vogliamo, per i documentari del National geographic e a Napoli il colera arrivò da fuori). Quella supponenza non fu scalfita nemmeno quando vedemmo l’epidemia scoppiare e infierire in Cina, che nel pensiero comune resta uno sterminato subcontinente di laboriosi operai-schiavi che in fabbriche primordiali copiano tutti quello che abbiamo inventato noi.

“MODELLO ITALIANO”? È QUELLO CHE CI HA RESI PRIMI AL MONDO PER NUMERO DI MORTI

E quando è arrivata in Lombardia e Veneto, sappiamo com’è andata: tranquilli, ci pensiamo noi, voi badate a lavorare, divertirvi, uscite la sera (a infettarvi). Era l’Italia che guida, che decide, che insulta l’altra Italia non all’altezza. E che ora si scopre aver fallito, nonostante ci martelli, a mezzo stampa, avendone il monopolio, con il mantra del “mondo che sta copiando il modello italiano”. Cioè? Aspirano, copiandoci, a scalzarci dal primo posto nella classifica planetaria per numero di morti? Vogliono anche loro medici cubani e albanesi e mettere il numero chiuso a medicina, per accettare 50 studenti su duemila richieste, in modo da dover chiedere la carità all’estero, in caso di bisogno? Vogliono smantellare le loro aziende in campo parafarmaceutico per pietire mascherine, reagenti, tamponi, respiratori se succedesse qualcosa? Vogliono ricercatori grandi prof di ancor più grande boria che si contraddicono fra di loro, contraddicano se stessi, avendo ragione prima e dopo, e offendano in pubblico i colleghi che hanno trovato un farmaco efficace prima di loro? Vogliono un governo e dei governicchi locali che invece di evitare l’allargamento del contagio e contenerlo nelle zone infette, lasciano migrare decine di migliaia di probabili o sicuri contaminati nel resto del Paese, per essere sicuri che il disastro sia totale?

Poi, fra cotanta pochezza e cotanto danno, l’opera gigantesca ed eroica di moltissimi, fra cui chi ci ha rimesso la vita per aiutare gli altri. E gli italiani, a loro modo, hanno saputo farsi riconoscere (e intendessero questo, a proposito di “modello italiano”?): non si sono fatti abbattere, hanno retto il dolore con dignità, mentre i camion militari portavano via gli affetti in una bara, troppe bare, perché nemmeno una città florida e degna come Bergamo riesce a dar loro sepoltura: persone morte senza il volto, la parola, la consolazione, la mano stretta di un figlio, di un coniuge, i quali, in molti casi, non sapranno nemmeno dinanzi a quale croce, domani, andare a pregare (voi pensatela come volete, per me, quelle immagini mute e spaventose segnano la fine di un modello italiano; e non parlo di virus, ma un modo di ritenersi adatti alla guida economica e politica di un Paese; equivalgono alle scene della fuga degli americani dal Viet Nam, con gli ultimi che assaltano gli elicotteri in partenza dall’ambasciata statunitense a Saigon. Ne riparleremo); e quell’inno nazionale che viene fischiato negli stadi è stato rispolverato per dirsi insieme; le immagini di Napoli che canta dai balconi in concerto casuale “abbracciame cchiù fort”, hanno indotto star internazionali, come Bono degli U2, a fare altrettanto e dedicarci una composizione.

PER RISANARE UN PAESE MEGLIO PARTIRE DA BASSO, DAGLI ULTIMI, DAI PIÙ ESPOSTI AL MALE

Ma come se ne esce? Lo potremo capire da cosa facciamo durante (forse). Non è facile, perché si vede all’opera il massimo dell’egoismo e il massimo della generosità; come fai a dire quali comportamenti prevarranno? A volte, per una sorta di rimbalzo, al massimo dell’egoismo durante la tempesta, corrisponde il massimo di solidarietà dopo. Ma un tentativo va fatto: finora, è parso che tutta l’attenzione sia stata solo i più garantiti; il che mette tutti a rischio, perché l’epidemia è democratica: pensare che, se si ammala “l’altro”, tu non c’entri, è da cretini, perché prima o poi, “l’altro” lo incontri.

Su questo, siamo terribilmente in ritardo, nel senso che ai senza reddito, ai senzatetto si pensa poco, le istituzioni preferiscono delegare ad associazioni benefiche, che già sono in difficoltà in tempi ordinari, per la sproporzione fra bisogni e mezzi, figurarsi ora. In più, con la chiusura dei ristoranti, degli esercizi, quel cospicuo soccorso alimentare è venuto a mancare. Paradossalmente, a una società converrebbe cominciare a sanarsi dal basso, dagli ultimi e più esposti al pericolo, che lì può esplodere con maggior virulenza e da lì ripartire. L’egoismo illude nel presente e tradisce nel futuro.

La vice presidente di Equità Territoriale, Movimento 24 Agosto, Annamaria Pisapia, ha lanciato, d’intesa con i referenti regionali, una sottoscrizione per portare dei pasti caldi ai senzatetto, in grandi città del Sud (nei piccoli centri, la solidarietà porta-a-porta elimina il problema). Si comincerà, d’accordo con associazioni di volontari che già attivei, da Napoli, poi Palermo, e via di seguito (Bari, Reggio Calabria…), secondo le risorse. Anche pochi euro possono fare la differenza: pochi euro sono piatti di pasta.

LA SOTTOSCRIZIONE PER I SENZATETTO: UN PIATO DI PASTA, POCHI EURO

E parliamo di bisogno vero, non delle favole da assalto ai forni che stanno montando in questi giorni: siamo già alla mafia che guida la rivolta, perché in Sicilia qualcuno ha voluto rispolverare “la spesa proletaria” (prendo e non pago); ed è stato fatto saltare, a scopo di furto, un bancomat delle Poste; e a Bari “i commercianti” darebbero “l’assalto alle banche”, come mostra un video divenuto virale, con le urla “Non abbiamo soldi! Siamo senza soldi!”. Conosco quella banca, a Bari, e chi ci lavora conosce il più esagitato delle persone filmate. Lo conosceva “già”…, da prima dell’epidemia. E quante altre banche sono state “assaltate” a Bari? Una, solo quella. Quanti altri “commercianti”? Nessun altro.

E quanti altri bancomat sono stati divelti in Sicilia, per furto? Quello. E prima capitava che ogni tanto qualcuno cercasse di portarsi via il bancomat con la cassa, pur senza virus? Sì. Solo in Sicilia? No, pure a Timbuctù. Andiamoci piano, con “le notizie”. Magari si arriva alla rivolta popolare (è stato anche reso noto che servizi segreti stranieri avrebbero avvisato le autorità italiane del rischio sommosse. Richiesti di rivelare la fonte dell’informativa, hanno tirato fuori il documento in cui era scritto, il diario di Gianburrasca: “un popolo affamato fa la rivoluzion”), ma per raccontarla, non vi spiace aspettare che arrivi, se arriva? Perché se no, poi, non ci crede nessuno.

LO STUDIO DI DUE ECONOMISTI (BOLZANO E BARCELONA): SI PUÒ RIPARTIRE SOLO DA SUD

Dopo il tempo delle Milano da bere, degli egoismi regionali, della politica ristretta al proprio orticello, da irrigare sino a farlo marcire, mentre il resto del campo diventa deserto, l’Italia può ripartire solo da Sud, e subito, senza aspettare che finisca la tempesta. Aprile…, ancora con questa storia Nord-Sud? Eh, ma non lo dico io, lo scrivono, in una interessante analisi pubblicata su “Il Foglio” (già…), i professori Federico Boffa, docente di economia alla libera università di Bolzano e Giacomo Ponzetto suo collega al Crei (Centro di ricerca internazionale di economia) e all’università Pompeu Fabra di Barcellona: “I dati odierni suggeriscono che il Mezzogiorno potrà ripartire per primo, benché i gravi errori di comunicazione del governo abbiano indotto un esodo da nord a sud. A preparare questa strategia meridionale vanno dedicate da subito persone ed energie, specie per assicurare la tracciatura dei contatti e delle infezioni”.

E se l’Italia non sarà in grado di ripartire da Sud, tentando di imporre nuovamente il fallimentare “modello Nord”, si spezzerà, perché o diviene finalmente equa, o non reggerà a questa botta, perché chi è abituato ad attingere alla cassa comune ormai la trova vuota, e chi è stato costretto a “per te, dopo, se resta”, non è più in grado, né disposto, di aspettare quel “dopo”.

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