L’OMS: È PANDEMIA. MA CHE CI FANNO I REPARTI SPECIALI USA?
Diario dalla reclusione volontaria-forzata ai tempi del virus. Giorno terzo. appunti al volo:
L’Organizzazione mondiale della sanità dichiara la “Pandemia” (epidemia globale) del Covid-19. Alzi la mano chi è rimasto sorpreso. L’Italia si chiude nei suoi confini, le città nelle proprie mura, gli italiani nelle proprie case. Con qualche libera interpretazione delle norme: in Veneto, l’ondivago presidente Luca Zaia (aprire, chiudere, è niente, è il peggio…) decide che si deve passare alla cura feroce, chiudere tutto, fabbriche incluse. Gli industriali protestano. Il presidente della Lombardia Attilio Fontana, invece, dice di essere d’accordo con gli industriali per chiudere tutto, fabbriche incluse. Al Sud, mentre quelli annunciano, già lo fanno, e chiudono gli stabilimenti Fiat (ah, già, ora si chiama Fca) di Melfi, Cassino e Pomigliano. Sul web scorrono immagini della gente al mercato a Milano, e quelle del mercato chiuso a Foggia.
SPERIMENTANO UN FARMACO A MILANO, PAVIA E PADOVA. TROVATA LA CURA A NAPOLI
L’ospedale di Padova, il Sacco di Milano, il San Matteo di Pavia scelti dal ministero della Salute per sperimentare il farmaco contro il coronavirus: il Remdesivir. La cosa ha senso: i focolai sono partiti fra Lombardia e Veneto, lì c’è la circolazione più ampia e virulenta del morbo. Dall’ospedale di Padova passò la coppia di cinesi poi ricoverata e salvata allo Spallanzani di Roma, dove fu anche individuato il ceppo cinese del virus, da tre ricercatrici meridionali. Sempre a Roma, ma al Campus Bio Medico, uno salernitano laureando in medicina ha scoperto la mutazione che rese possibile il passaggio del virus dai pipistrelli all’uomo; all’oncologico Pascale di Napoli hanno trovato la cura (grazie a scambi di informazioni con la Cina) contro Covid-19, usando un farmaco, il Tocilizumab, specifico per l’artrite reumatoide. Non sarebbe stato fuori luogo coinvolgere queste altre strutture, pur se “fuori zona” (e ora non più tali), nella ricerca di soluzioni. Anche perché, mentre altrove si sperimenta (e fanno benissimo) a Napoli hanno già trovato, funziona, e l’oncologo Paolo Ascierto, chiede un protocollo nazionale per estendere subito la cura ai contagiati e in gravi condizioni (già l’hanno adottata a Bergamo, Fano e Milano).
SUBITO UN CENTRO RICERCHE DI BIOLOGIA. A SUD
Da questo disastro si deve uscire con conoscenze e strumenti per non trovarsi più in condizioni simili. Il nostro sistema sanitario non può avere venti centri decisionali per la salute, specie in casi come questi (quanto ci costano i tempi di coordinamento e discussione fra governo e Regioni?). È grave che il Paese non sia ben attrezzato (con “riserve” adeguate di posti di terapia intensiva, e altri presidi) per reggere all’urto di eventi epidemici di seria portata.
A volte essere ripetitivi serve: l’Italia deve dotarsi di un grande Centro di Ricerche biologiche e di una rete di strutture specialistiche per far fronte a circostanze gravi e impreviste: in un mondo globalizzato, quello che accade in un posto qualsiasi accade ovunque, dal ballo di uno sconosciuto coreano del Sud al virus. Questo Centro va progettato adesso, senza aspettare che finisca la buriana; e va fatto a Sud, per bilanciare, almeno in parte, l’eccesso di investimento pubblico in una sola area del Paese, nell’IIT di Genova (Istituto italiano di tecnologia) e HT di Milano (Human Technopole). In più, ripeto, gli ospedali finiti e chiusi al Sud, “per risparmiare” potrebbero essere adattati a queste esigenze specialistiche (in Cina hanno dovuto costruirli e in poche settimane). Aggiungete che alcuni istituti universitari meridionali sono cardini di iniziative industriali di eccellenza in campo farmaceutico.
TOCCA A PRESIDENTI E PARLAMENTARI DELLE REGIONI MERIDIONALI
I presidenti e i parlamentari delle Regioni meridionali si muovano o questa roba la vedremo, sì, ma ancora una volta altrove, ad accrescere lo sbilancio del Paese e l’emigrazione dei nostri giovani laureati.
Questa reclusione casalinga forzata insegna anche un’altra cosa: fermarsi non serve a recuperare le cose che avevi accantonato “per quando potrò”: il tempo pare rallentarti per adeguare la tua vita a una situazione di stasi e impone i suoi nuovi ritmi a biologia e cervello. Alla fine, fai persino meno cose di prima, il pregresso sta ancora lì e ti chiedi se fra gli effetti collateraterali dell’epidemia non ci sia un generale rincoglionimento (non è satira politica). Telegiornali e telefonino diventano un binocolo con cui spii il mondo, oltre il giardino di casa. E il giorno che questa faccenda finirà, potremmo scoprire che ci avevano mandato in onda le repliche, mentre lì fuori accadeva ben altro; e decine di migliaia di soldati dei reparti speciali anglo-statunitensi e della Nato (italiani inclusi) si piazzavano in punti strategici del nostro continente, in attuazione di un piano chiamato “Defender Europe”. Cazzo: da che, da chi? Cosa sta succedendo? C’è il virus e mandano i soldati? A fare cosa: a sparargli?
Per oggi non ci voglio pensare. Abbiamo un Centro ricerche biologiche da costruire. Ma cominci a dubitare che la cosa di cui dovremmo preoccuparci di più non è il coronavirus. Aiutatemi a dirmi che sto sbagliando.
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