Se davvero Sanremo è lo specchio del Paese e la televisione il suo confessionale, allora stiamo messi proprio male, a giudicare dagli ultimi 3-4 giorni, passando dal teatro Ariston che (porcheria mai vista prima), si svuota per sabotare l’esibizione di Geolier, perché svetta in testa alla classifica provvisoria, nonostante canti in napoletano, alla fiction su Goffredo Mameli in due puntate due, con la conclusiva (guarda la combinazione!) il 13 febbraio. Su 366 giorni (il 2024 è bisestile), proprio il 13 febbraio, ovvero l’anniversario della caduta e del martirio di Gaeta, bombardata per cento giorni dai caini d’Italia presunti fratelli. Proprio il 13 febbraio indicato anni fa come Giorno della Memoria per le vittime innocenti del Sud (centinaia di migliaia) del modo infame in cui fu unificato il nostro Paese, con l’invasione, il massacro e il saccheggio del Regno delle Due Sicilie.
Si può pensarla come si vuole, ma una scelta così infelice non può che aver lo scopo di ricordare ai terroni che sono i vinti della storia e devono restare sottomessi e inferiori, minorizzati; non hanno titolo per pretendere di star alla pari con i vincitori. La stessa lezione che vuol impartire il razzismo anti-napoletano degli stadi o l’indegno spettacolo del pubblico sanremese (non tutto, ovvio e per fortuna) e dei giornalisti (non tutti, ovvio e per fortuna).
Bella e meritata la vittoria di Angelina Mango, al festival (e più ancora per l’intensità con cui ha interpretato la canzone del padre Pino, La rondine, verrebbe da dire, che per il suo pur coinvolgente brano in gara). Una vittoria che non può essere sporcata dalla vergognosa esibizione di un branco di giornalisti (ma davvero siamo ridotti a quelli?) che hanno inveito come e peggio delle curve razziste negli stadi contro Geolier, reo di essere napoletano, sino al punto da chiedere che la Campania sia esclusa dal televoto!
Come se il successo di questo ragazzo (che non conoscevo, ammetto, per distanza generazionale) avesse bisogno di chissà quali inciuci e dipendesse dal “tifo” locale troppo schierato. E sarebbero quelli gli “esperti” della stampa a Sanremo? Il primo disco di Geolier è salito al primo posto nella classifica mondiale. Mondiale: non terrona, non italiana, non europea. Capirai la differenza che fa, se gli togli i voti dei napoletani!
Contro la sguaiataggine di quei danneggiatori della professione giornalistica (andate a vedere il video delle loro urla e invettive e poi provate a immaginare quale equilibrio e capacità di analisi ci si può attendere da quelle penne intinte di sporco), c’è chi ha ripescato un vecchio video di Geolier che tratta proprio il tema della discriminazione anti-meridionale e anti-napoletana in particolare. E lo fa nella sua lingua, con osservazioni e approfondimenti che farebbero sprofondare di vergogna quegli impresentabili della canea della sala-stampa, se ne fossero capaci.
Ascoltatelo e guardatelo Geolier: un ragazzo di vent’anni e poco più con la faccia paffutella da ragazzino pasciuto, ma un bagaglio di valori e maturità che ne farebbe il docente ideale per cercare di recuperare alla civiltà gli urlatori della sala-stampa. Magari con traduttore istantaneo, perché Geolier ama parlare la propria lingua, il napoletano (lingua, non dialetto, come da classificazione in glottologia), anche se conosce benissimo l’italiano (spero pure quei presunti giornalisti: e dico presunti, perché vorrei augurarmi, per amor di professione, che fossero abusivi in quel posto).
Se quelli sono i giornalisti da cui dipende, in parte, la classifica di Sanremo, per il bene e la credibilità della gara canora (che potrà piacere o no, ma è una eccellenza italiana fra le più copiate al mondo), propongo che, a partire dalla prossima edizione, si elimini la giuria dei giornalisti (altro che televoto dei campani) e ci si affidi solo al pubblico e a veri professionisti della musica.
O che, come minimo, la Rai individui chi si è così palesemente dimostrato incapace di giudizio sereno, qualificato e competente, e lo escluda dalle prossime edizioni, ove mai avesse il coraggio di ripresentarsi. E per l’indegna vicenda di quest’anno, chiedo se l’Ordine dei giornalisti non abbia una parolina da spendere, per richiamare quel coro sguaiato a un minimo di decoro e decenza.
La nota positiva è che il video grazie al quale si è scoperto quel deprecabile comportamento lo ha fatto qualcuno che era in sala-stampa…
Martedì 13 su Rai1, invece, serata conclusiva della mini-serie (due puntate) su Goffredo Mameli, presunto autore dell’inno nazionale italiano. Da come si preannuncia, qualcosa di fumettistico (è una fiction, comprensibile) analogo, per fare un esempio, al “Garibaldi” di Aldo Cazzullo (che non era fiction. O non avrebbe dovuto essere). Nulla di strano, se questa attenzione fosse dedicata a tutti i protagonisti della nostra storia e non solo per produrre agiografie contro la storia e gli eroi dei vinti, i cui eredi pagano pure loro il canone, per essere esclusi e denigrati (anche con le tasse dei terroni, per dire, han riaperto l’immondo “museo” Lombroso all’università di Torino, vergogna nazionale).
Che Goffredo Mameli fosse un ragazzo pieno di passione e ideali (come tanti di una minoranza avvertita del Paese, allora), non ci piove. Ma il valore della sua vita e prematura morte viene svilito. a mio parere, e non accresciuto dal modo in cui lo si presenta (anche se va detto che funziona: vedi la santificazione di Garibaldi, un protagonista del suo tempo, ma estremo nel bene come nel male, accuratamente taciuto). Riporto, dal mio “L’Italia è finita”, quanto ho già scritto su Mameli e l’inno.
Ci hanno messo appena 156 anni a fare di Fratelli d’Italia l’inno ufficiale, a riprova di quanto la stizzosa marcetta fosse ritenuta inadeguata. Invece è perfetta per rappresentare un Paese come questo:
a) è l’unico brano che, con un ribaltamento dei valori, è indicato con il nome dell’autore dei versi e non della musica, il maestro Michele Novaro. Come dire: Il barbiere di Siviglia di Cesare Sterbini, autore del libretto, invece che di Gioachino Rossini;
b) su quei versi c’è il fondato sospetto, se non la certezza (lo scrive Aldo Alessandro Mola, autore di una monumentale storia della massoneria italiana), che non siano del giovane Goffredo Mameli, incapace di quell’aulico linguaggio e di quei classicismi, ma dell’abate Anastasio Cannata, suo maestro (che sia furto o pesante “aiutino”, siamo di nuovo nella migliore tradizione nazionale);
c) quanto ai “fratelli” d’Italia, non sarebbero tutti, ma solo i fratelli massoni. Quindi, io e la quasi totalità degli italiani non c’entriamo: loro se la cantano e se la suonano e noi a lorsignori serviamo per fare numero;
d) l’inno nazionale doveva essere La canzone del Piave, di E.A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta, autore di musiche immortali, a cui Alcide De Gasperi chiese di comporre l’inno della Democrazia cristiana, ricevendone un rifiuto. Per dispetto, lo statista accantonò La canzone del Piave e promosse l’inno di Novaro-Cannata (e pure di Mameli? Fate voi), ma come “provvisorio” (rieccoti lo national costume), in attesa di uno più adatto;
e) provvisorio dal 1946, l’inno diventa definitivo dopo 71 anni di precariato (e qui lo national costume conquista un primato, riuscendo a superare, per attesa di sistemazione, i supplenti della Buona Scuola rottamata da Matteo Renzi);
f) un inno nazionale dovrebbe essere popolare, carne e sentimento della nazione tutta, facile da ricordare (che ne dite di Dio benedica l’America, Dio salvi la regina, Andiamo, ragazzi della Patria, Il Piave mormorava calmo e placido? Quello delle Due Sicilie era così bello, che faceva a meno delle parole e, forse anche per questo, Paisiello riuscì a conservarne la paternità dopo l’annessione…); quanto alla musica, è quasi sempre sontuosa e solenne. Il nostro (abbiamo un altro carattere) ha un motivetto allegro, sbarazzino e tutto sommato coerente con «un Paese tragico dal volto sorridente», come siamo stati definiti, che confligge con un testo che più paludato non si può: «Stringiamci a coorte» (per dire: “mettiamoci insieme; ecchemaronn!”), «dell’elmo di Scipio», «raccolgaci un’unica/bandiera, una speme», «Ogn’uom di Ferruccio/ ha il cuore e la mano», «Il sangue d’Italia/ Il sangue Polacco/ bevè con cosacco/ Ma il cor le bruciò», e via con le prove “che io ho fatto il classico”. E ti lamenti se non lo si sa a memoria? Quando fu scritto, okay, quello era il modo (pomposo, di pochi e per pochi), ma l’impronta resta; parlando difficile si esclude il popolo attraverso un linguaggio riservato agli eletti, lo si confonde e poi si sintetizza: fa’ come ti dico io e non sbagli. Sudditi, non cittadini; io padrone, tu sotto; io giacobino, tu lazzaro e tamarro;
g) per incredibile che possa sembrare, uno dei versi dell’inno ricorda ai meridionali come furono annessi allo Stato nascente: noi «fummo calpesti e derisi». «Calpestati, ci ribellammo» disse Carmine Crocco, generalissimo della rivolta dei terroni contro l’invasione sabauda del 1860-61, al processo; e furono sterminati, incarcerati, deportati a centinaia di migliaia;
h) quindi, dal 2017 e dopo appena 156 anni, è nostro e ufficiale un inno che nega il diritto alla menzione al compositore della musica e onora il presunto autore di versi forse rubati; che si rivolge a una minoranza di italiani “affratellati” da altro e di cui, ove abbiano cariche pubbliche, non si sa (o sì?) se obbediscano al giuramento alla loggia o allo Stato; un inno con un linguaggio ostico ed estraneo già ieri (figurati oggi), incomprensibile ai più (infatti li esclude e li colpevolizza: non conosci le parole!); e diventa ufficiale nel momento peggiore: mentre regioni del Nord e del Sud pensano alla separazione e la nazionale di calcio è esclusa dai mondiali: una delle rare occasioni in cui quell’inno ha ancora un senso per i più.
Non si poteva far di meglio: sembra la scelta di quelle coppie che, dopo una lunga convivenza ormai svuotata dei motivi per stare insieme, nel tentativo di dare con la forma un peso che la sostanza non ha più, decidono di sposarsi (il che, di norma, precede di poco il divorzio).
E allora si chiama Roberto Benigni a spiegare le parole “di Mameli” in prima serata sulla tv di Stato; e si accusano i calciatori, traditori della Patria e del milite ignoto!, di non cantarle (chiedete a dieci persone intorno a voi quanti ne conoscono i versi); e dopo vent’anni di ministri leghisti che sul tricolore giuravano al Quirinale e poi, senza che nessuno li pigliasse a calci in culo, lo usavano per pulirsi il medesimo e bruciarlo in piazza, si scopre la sacralità de lo national vessillo.
Quando i tifosi napoletani cominciarono a entrare allo stadio con lo stendardo delle Due Sicilie e sciarpe, felpe e altra roba con i simboli, se le videro illegalmente sequestrate (prima di un imbarazzato dietrofront) dalla stessa Polizia che, per tutelare l’indisturbato sventolio di bandiere della Padania (nazione inventata), identificava e allontanava i cittadini che osavano “provocare” i raduni dei leghisti con il tricolore. Mentre a New York, nell’East Side, per la festa di san Rocco, nel corteo sfilava, in mantello azzurro borbonico d’ordinanza, un vessillifero con la bandiera delle Due Sicilie: anche la storia e la memoria sono costrette all’esilio.
Oh, a proposito: se Nord e Sud si separassero, l’esperienza dice che avremmo squadre di calcio migliori e risultati nel complesso più esaltanti alle Olimpiadi. Dopo la caduta del muro di Berlino, gli Stati sorti dalla disgregazione di quelli di prima (Unione Sovietica, Jugoslavia, Cecoslovac- chia) hanno conquistato una quantità di medaglie notevolmente maggiore, quasi il doppio; mentre la Germania, riunitasi, ne ha prese poco più della metà delle due Germanie divise.
Per dirla di nuovo: non tutte le secessioni vengono per nuocere.
E dopo averci proposto (Augias, Mieli) “la terapia dell’oblio” (è vero, l’aggressione, i massacri, e tutto il resto, ma per amor di patria, meglio dimenticare. Solo i terroni, non gli armeni, gli ebrei, i palestinesi, gli indiani, i neri schiavizzati), per ricordarci che ci fecero a pezzi, con una guerra non dichiarata, centinaia di migliaia di vittime, almeno centomila deportati, seicentomila incarcerati solo il primo anno, il 13 febbraio della caduta di Gaeta, in cui furono assediati Francesco II di Borbone, la moglie Sofia e l’esercito, ci mandano la storia del presunto autore dei versi dell’inno massonico divenuto nazionale.
Quei ragazzi, per i loro ideali, persero la vita. Non è così che si rende loro onore, da una parte e dall’altra. Perché invece di una patria, si ritrovarono con un comitato d’affari che ridusse a colonia una parte del Paese.
Te piace l’inno de Mameli? E ‘o presepe?
Qui sotto i link di Geolier e della sala-stampa
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8 Comments
Dario
Sveglia SUD
Dario
Sveglia SUD, non un passo indietro
Pino Aprile
E sarebbe ora!
Vittorio
Tutte le volte che i miei pensieri volgono lo sguardo a quello che eravamo e ancor meno a pensare di essere stati liberati, (liberati da chi e da cosa?) vivevamo in un paradiso se confrontiamo lo stato di come ci hanno ridotti; tutte le volte mi sento male.
ho 67 anni e posso cominciare a dire la mi con autorevolezza di fatti visti e vissuti… il malato è assai grave e non guarirà né con le belle parole ne con le leggi. (le loro)
o si intraprende una energica terapia o l’Italia è finita
U MIERICU PIATUSU FA U MALATU DIFITTUSU !
Pino Aprile
Infatti, e serve che a muoversi si sia in tanti
Vittorio
Cominciamo a non mandare i figli a istruirsi nelle scuole pubbliche, dove vengono infarciti di falsità storiche, dove gli raccontano ancora favolette sull’eroe dei due mondi che nella peggiore delle ipotesi possa essere equiparato a un criminale di guerra al soldo dei savoia che a loro volta erano in combutta con gli inglesi. (lui, Garibaldi, sapeva cosa stavano facendo i bersaglieri al popolo delle due Sicilie), nella migliore delle ipotesi era un ingenuo malizioso ingannatore volto a lustrarsi la fedina penale per darsi una ripulita dal suo passato non propriamente da chierichetto di oratorio. Riguardo a vittorio emanuele II°, poco importa se nel lager di fenestrelle massacrarono 4.000 o 40.000 o 400.000 soldati e civili Borbonici, la domanda è perché dopo le elezioni del 1946 i savoia prima di essere esiliati non furono chiamati a rispondere del genocidio perpetrato a partire dal 1860 a danno del sud e di omicidio dei prigionieri del lager di fenestrelle stile Norimberga ??? perché gli inglesi erano in debito con i savoia per il favore che gli era stato fatto nel liberare il Mediterraneo da una concorrente potenza nell’approssimarsi della prossima apertura del canale di Suez ;
18 Novembre 1869. Ancora oggi ne subiamo gli strascichi fino ad arrivare alla sudditanza di altre nazioni.
Ecco perché non dobbiamo mandare i figli a istruirsi nella scuola pubblica! Istruiamoli noi con le scuole paritarie e/o parentali dove conosceranno la verità per renderli veramente liberi,
E in una generazione ci libereremo dai ceppi fisici e mentali che i savoirdi ci hanno imposto.
Vittorio
Cominciamo a non mandare i figli a istruirsi nelle scuole pubbliche, dove vengono infarciti di falsità storiche, dove gli raccontano ancora favolette sull’eroe dei due mondi che nella peggiore delle ipotesi possa essere equiparato a un criminale di guerra al soldo dei savoia che a loro volta erano in combutta con gli inglesi. (lui, Garibaldi, sapeva cosa stavano facendo i bersaglieri al popolo delle due Sicilie), nella migliore delle ipotesi era un ingenuo malizioso ingannatore volto a lustrarsi la fedina penale per darsi una ripulita dal suo passato non propriamente da chierichetto di oratorio. Riguardo a vittorio emanuele II°, poco importa se nel lager di fenestrelle massacrarono 4.000 o 40.000 o 400.000 soldati e civili Borbonici, la domanda è perché dopo le elezioni del 1946 i savoia prima di essere esiliati non furono chiamati a rispondere del genocidio perpetrato a partire dal 1860 a danno del sud e di omicidio dei prigionieri del lager di fenestrelle stile Norimberga ??? perché gli inglesi erano in debito con i savoia per il favore che gli era stato fatto nel liberare il Mediterraneo da una concorrente potenza nell’approssimarsi della prossima apertura del canale di Suez ;
18 Novembre 1869. Ancora oggi ne subiamo gli strascichi fino ad arrivare alla sudditanza di altre nazioni.
Ecco perché non dobbiamo mandare i figli a istruirsi nella scuola pubblica! Istruiamoli noi con le scuole paritarie e/o parentali dove conosceranno la verità per renderli veramente liberi,
E in una generazione ci libereremo dai ceppi fisici e mentali che i savoiardi ci hanno imposto.
altro che fratelli d’italia!?!?
Vittorio
Cominciamo a non mandare i figli a istruirsi nelle scuole pubbliche, dove vengono infarciti di falsità storiche, dove gli raccontano ancora favolette sull’eroe dei due mondi che nella peggiore delle ipotesi possa essere equiparato a un criminale di guerra al soldo dei savoia che a loro volta erano in combutta con gli inglesi. (lui, Garibaldi, sapeva cosa stavano facendo i bersaglieri al popolo delle due Sicilie), nella migliore delle ipotesi era un ingenuo malizioso ingannatore volto a lustrarsi la fedina penale per darsi una ripulita dal suo passato non propriamente da chierichetto di oratorio. Riguardo a vittorio emanuele II°, poco importa se nel lager di fenestrelle massacrarono 4.000 o 40.000 o 400.000 soldati e civili Borbonici, la domanda è perché dopo le elezioni del 1946 i savoia prima di essere esiliati non furono chiamati a rispondere del genocidio perpetrato a partire dal 1860 a danno del sud e di omicidio dei prigionieri del lager di fenestrelle stile Norimberga ??? perché gli inglesi erano in debito con i savoia per il favore che gli era stato fatto nel liberare il Mediterraneo da una concorrente potenza nell’approssimarsi della prossima apertura del canale di Suez ;
18 Novembre 1869. Ancora oggi ne subiamo gli strascichi fino ad arrivare alla sudditanza di altre nazioni.
Ecco perché non dobbiamo mandare i figli a istruirsi nella scuola pubblica! Istruiamoli noi con le scuole paritarie e/o parentali dove conosceranno la verità per renderli veramente liberi,
E in una generazione ci libereremo dai ceppi fisici e mentali che i savoiardi ci hanno imposto.
Altro che fratelli d’italia!?!?