ALLE EUROPEE VOTIAMO PER I CANDIDATI CHE, SE ELETTI, SI IMPEGNANO A CHIEDERLA. FIRMIAMO L’APPELLO
E quindi, per le Europee? Qualcosa di meridionale: per esempio votare:
1 – chi si impegna a chiedere, al Parlamernto europeo, una Commissione d’inchiesta sulla iniqua dote di infrastrutture e investimenti pubblici all’interno di uno stesso Paese;
2 – o si impegna a battersi, nel Parlamento europeo, perché il diritto alla salute abbia la stessa tutela legale per tutti i cittadini di uno stesso Stato e non sia vendibile per “contratto”, da parte di governi nazionali a imprenditori, come avvenuto a Taranto con l’Ilva, in modo ufficiale, e, di fatto, in molte altre zone.
Serve una cosa del genere?
Alla vigilia delle ultime elezioni politiche, marzo 2018, varammo il progetto Agenda Sud 34, per chiedere ai candidati di ogni partito (da destra a sinistra) di impegnarsi pubblicamente a sostenere, se eletti, il diritto del Sud almeno al 34 per cento della spesa pubblica, in rapporto proporzionale, se non al territorio (che è circa il 40 per cento del Paese), alla popolazione. Naturalmente, sono esclusi da questo appello i candidati della Lega, perché non è credibile ed è nemica del Sud, chiacchiere salviniane a parte; ed esclusi, per la ragione opposta, i partiti meridionalisti, che esistono per sostenere i diritti del Sud, quindi sarebbe offensivo, oltre che ridicolo, chiedere loro un impegno sulla ragione per cui sono nati. Ci furono molte adesioni, di più schieramenti, all’appello per il 34 per cento; anche se poi risultarono eletti solo quelli del M5S, per il travolgente successo del Movimento a Sud.
Sono poi accadute molte cose, che non serve ricordare qui; ma va dato atto a più di qualcuno di quei candidati, poi eletti, di essersi mossi secondo l’impegno preso. E qualche giorno fa, il capo del governo, Giuseppe Conte, ha firmato il decreto del presidente Consiglio dei ministri che vincola la spesa per gli investimenti pubblici al 34 per cento per il Sud. Il compito di controllare che avvenga spetta al ministro dell’Economia e a quello per il Sud che, in caso di inadepienza, deve riferire al capo del governo, per le contromisure.
La cosa quindi è risolta? È una norma “epocale”, come dice un mio buon amico che si è speso molto su questo (a lui e ad altri dobbiamo un grazie)? Le opinioni possono essere quelle che volete: io stesso ricordo che il governo di Massimo D’Alema varò la legge che imponeva la spesa totale del 45 per cento a Sud, inclusi i fondi europei, ma la norma non fu mai rispettata e non accadde nulla; e Carlo Azeglio Ciampi creò un Dipartimento, affidato all’ottimo Fabrizio Barca, per monitorare quanto e dove andavano i soldi e fu la prima cosa che il successivo governo Berlusconi cancellò, perché né a lui, né agli alleati leghisti conveniva tanta trasparenza (miliardi a Nord, chiacchiere e insulti a Sud).
Ma il fatto resta: la norma 34 per cento è stata un argomento dominante di questo governo (non della Lega, ovvio) e il M5S l’ha varata. Si può essere scettici, per le troppe delusioni cumulate; si dovrà vigilare, perché i mille trucchi dei ladroni padani e degli ascari terroni non svuotino la norma…, tutto quello che volete. Ma la norma ora c’è. Il tema posto proposto prima delle elezioni di marzo scorso ha tenuto banco ed è diventato legge.
Quindi l’iniziativa è stata buona ed è stata accolta. Con i cinquestelle ci sono stati momenti di intensa collaborazione e di critiche ferocissime: basterebbe ricordare la “Secessione dei ricchi” (che le Regioni del Nord camuffano sotto la voce “Autonomia differenziata”), su cui c’è stato un denso scambio di idee e informazioni con il mondo accademico e la galassia meridionalista, pur se le opinioni non collimano del tutto con la linea ufficiale del M5S, e su cui l’azione del Movimento è stata di garanzia, finora; non altrettanto si può dire per lo scempio dell’Ilva di Taranto o la Tap, per citare due casi clamorosi.
Democrazia è distinguere, valutare e decidere di volta in volta. Generalizzare e precludere a priori è pregiudizio, roba da razzisti o da stupidi o da entrambe le cose (non ho fatto nomi, finitela!).
Questo genere di impegni non è di sinistra o di destra, ma di chiunque non tolleri che qualcuno sia più uguale degli altri e quel qualcuno sia sempre lo stesso, sino da scavare una distanza ormai storica fra aree dello stesso Paese. Questo si chiede ai candidati, con l’adesione all’appello.
E gli elettori che lo sottoscrivono dichiarano di votare per chi, in qualsiasi partito militi (con le eccezioni ricordate prima), si impegni a chiedere una Commissione d’inchiesta europea sul divario di Stato (infrastrutture, servizi sociali, diritti: dalla scuola alla salute…) fra Nord e Sud, e che leggi e norme costituzionali a tutela della salute valgano allo stesso modo a Nord e a Sud, mentre oggi quel che è illegale se fatto ai genovesi, vedi la lavorazione a caldo degli acciai, diventa legale se fatto a danno dei tarantini.
Quanto a me, qualche giorno fa, sono stato a dare il mio appoggio ai candidati Verdi, a Taranto: Giuseppe Barbaro, Eliana Baldo e Crocefisso Aloisi, da anni impegnato contro la Tap in Salento e la strage di ulivi con la scusa della Xylella e, in generale, sempre attivo sui temi ambientali e meridionalisti. Ho chiarito subito: «Sono qui, perché sono dei “Verdi”? No, perché sono di Taranto: non mi interessa il tuo partito, ma quello che fai». E vale ovunque: qualche giorno prima, mi ero dedicato all’infame situazione (consolidata da più di mezzo secolo, ma ugualmente inaccettabile e da rimuovere) della meravigliosa costa di Saline Joniche, a Est di Reggio Calabria, mettendo in contatto gli attivisti calabresi (si sono chiesti: «Cambiamo città?», si sono risposti: «No, cambiamo la città») con quelli tarantini anti-Ilva e il dirigente nazionale dei Verdi che a questi casi ha dedicato la vita. E sto per andare a fare altrettanto con Gianni Fabbris, candidato de “La Sinistra”, perché nel suo programma ha già la richiesta della Commissione europea d’inchiesta sullo squilibrio Nord-Sud generato dalle politiche economiche dei governi italiani.