Non è stato fatto apposta, è una pura coincidenza, di cui ci siamo persino accorti tardi: “Meglio soli” arriva in libreria il 12 novembre, lo stesso giorno in cui la Corte Costituzionale esamina il ricorso di Puglia, Campania, Sardegna e Toscana contro la scellerata legge dell’Autonomia differenziata. Le coincidenze sono il linguaggio degli dei.
«Perché non ne facciamo un libro?».
Luca Antonio Pepe che, oltre a essere giornalista, lavora da dieci anni in Parlamento come legislativo (si occupa, cioè, di scrivere leggi e atti normativi), non riusciva a sopportare che il tanto lavoro svolto insieme e, ognuno per conto suo nella stessa direzione, andasse sprecato.
Tre anni fa, mi fu proposto di dirigere LaC, maggiore tv calabrese. Avevo chiuso con i giornali, dopo essere stato vicedirettore e direttore dei due maggiori settimanali italiani e aver fatto televisione in Rai con Sergio Zavoli. Non ero interessato a ricominciare, a meno che si potesse dare impronta marcatamente meridionalista all’emittente e il bacino di diffusione si estendesse all’intero Mezzogiorno. Ci fu accordo su questo (in meno di sei mesi la tv divenne nazionale) e accettai.
Vidi la possibilità di dar vita a una rete con cui contrastare il racconto del Sud sporco, brutto e cattivo, che non merita i treni, le strade, eccetera. Mi misi all’opera (le conseguenze furono pressioni fortissime sull’editore e una campagna di diffamazione contro di me).
Uno dei programmi che ideai e misi in onda (a parte “Rinascita Scott”, sull’omonimo grande processo alla ‘ndrangheta) fu “Pnrr: scippo al Sud”. Chiamai Luca Antonio Pepe a farlo con me, per la sua straordinaria competenza. Eravamo in studio noi due soli, a sciorinare documenti inediti sui trucchi con cui erano stornati, da Sud al Nord, i duecento miliardi del Next Generation EU, che Bruxelles inviava all’Italia per ripianare il divario di opere pubbliche di cui soffre il Mezzogiorno, per scelte razziste dei governi italiani.
Furono mesi intensissimi. Vivevo fra Roma e Vibo Valentia; il web bolliva di fango contro di me e lo stesso editore (almeno in un caso passammo a denunce, da cui è nato un processo). La tensione era a livelli che pensavo di poter reggere. Ma ebbi un infarto. Mi portarono in tempo in sala operatoria e due splendidi cardiochirurghi giovani e terroni (lei 33 anni, di Reggio Calabria, lui 34, salentino), mi rimisero a posto.
La trasmissione continuò, perché avevo registrato alcune puntate in anticipo. Tornato al lavoro, ripresi come prima. Gli attacchi sulla rete divennero pesantissimi e, con mia amara sorpresa, specie da parte di alcuni che ritenevo convinti meridionalisti e persino amici. Eravamo alla diciassettesima puntata di “Pnrr: scippo al Sud” (mentre “Rinascita Scott” faceva un record dopo l’altro), quando mi esplose una vena in testa. Rimasi semiparalizzato a sinistra, rischiai di morire o rimanere attaccato a una macchina, come vegetale umano.
I neurochirurghi del policlinico Torvergata mi aprirono il cranio e fecero un ottimo lavoro, ma nemmeno loro immaginavano che sarei tornato a parlare e a camminare. Mi è andata bene (ci deve essere qualche santo che ama gli atei).
Ma la mia avventura a LaC finì lì.
Luca cominciò a circuirmi con affetto: «Come stai? Ti sei ripreso? Allora, questo malloppo che abbiamo scritto, che ne facciamo, lo lasciamo morire in un cassetto?».
Non volevo rimetterci le mani. Appena fui in condizione, mi misi a lavorare per condurre a termine alcuni impegni che avevo preso con l’editore dei miei libri. Non volevo caricarmi di altro ancora. Finché Luca mi porse il malloppo: «Ho raccolto quel che abbiamo fatto insieme e aggiunto altro accaduto nel frattempo e negli anni della mia attività in Parlamento. Gli daresti uno sguardo?».
Nonostante l’intervento nel cranio, fui in grado di capire dove mirava. Ma glielo dovevo: rilessi tutto. In effetti, era proprio un delitto non usare quel materiale, solo in parte andato in onda. Ma feci male i calcoli: pensavo di cavarmela in un paio di settimane, tanto c’è solo da riordinare queste cose, mi dissi.
Abbiamo riscritto tutto, “Meglio soli” è un libro che ora prende solo ispirazione da “Pnrr. Scippo al Sud”. Pur convinti di avere già tutto, abbiamo aggiornato, rivisto, rielaborato per più di un anno, aggiunto, tagliato tanto (416 pagine e più di mezzo chilo di libro sono già troppo). E pur avendo promesso all’editore di consegnare a giugno, lo abbiamo fatto, messi spalle al muro, a ottobre. Lo ringraziamo per la pazienza. E ringrazio Luca della sua insistenza: aveva ragione, questo libro era da fare.
Nonostante questo, si può dire che diamo solo un assaggio dei luridi metodi, dei trucchi, dei furti con cui si sottraggono risorse e opere pubbliche al Sud, per favorire le sole regioni del Nord (e manco tutte). Oggi, si toglie al Mezzogiorno l’ultimo tesoro: i suoi giovani, addirittura finanziando l’emigrazione e lo spopolamento del Sud, come prevede la legge finanziaria appena messa a punto.
“Meglio soli” è una tappa di svolta nel percorso del meridionalismo, come movimento e come singoli. Ed è una “tappa di ritorno”, perché già alcuni dei principali padri nobili di questa disciplina (da Gaetano Salvemini a Guido Dorso, a Nicola Zitara), giunsero alla conclusione che, considerata la sordità della politica nazionale alla protesta contro la colonizzazione del Sud, e alle proposte risanatrici, la Questione meridionale potesse risolversi soltanto con la riconquista dell’autonomia territoriale, politica. Il Sud che possa disporre di sé e delle sue risorse, non più come terra e popolo “decisi” dal sistema economico del Nord che, complice il ceto “di servizio” meridionale, è interessato a concentrare investimenti e opere pubbliche solo nelle regioni padane.
Per questo ora, come recita il sottotitolo, si va verso “La secessione del Sud, stanco di essere colonia”: un sentimento sempre più diffuso, nel Mezzogiorno, anche se non si può certo dire che già riempia le piazze di gente che reclama l’indipendenza.
La cosa potrebbe suonare come la realizzazione del progetto vetero-leghista di dividere dell’Italia, ma è l’esatto opposto. La Lega, nel piano elaborato dal senatore e (purtroppo) docente razzista Gianfranco Miglio, voleva il Paese diviso in tre macroregioni, Nord, Centro, Sud, con quella meridionale affidata alla mafia, promossa a struttura di governo, sotto il controllo coloniale del Nord. Per discutere del progetto con i mafiosi, il prof scese in Sicilia, dove incontrò almeno un latitante “storico”, il boss di Catania, Nitto Santapaola, secondo la deposizione di un pentito.
Il Nord lo vuole il Sud, ma come mercato esclusivo e colonia da cui estrarre risorse, dal petrolio alle energie alternative, al risparmio trasferito nelle banche padane, ai fondi europei mandati in Italia per ridurre il divario di infrastrutture (ferrovie, strade, scuole, ospedali…) e spesi al Nord per aumentarlo.
Questo circolo vizioso si spezza solo in due modi: o il Paese capisce che così si va a battere e si decide ad agire di conseguenza, o si taglia il filo annodato quando il Mezzogiorno fu sottomesso a mano armata più di un secolo e mezzo fa e annesso al Regno di Sardegna con “plebisciti” taroccati spudoratamente e ancor oggi spacciati come “volontà popolare” (ma tanti altri Paesi non sono nati meglio).
Il meridionalismo era stato messo in soffitta con fastidio, per fare spazio all’invenzione leghista (e razzista: come dichiarato dai fondatori del partito) della farlocca Questione settentrionale ruttata da Bossi e complici, ma le cui favole hanno radici lunghe, nella rappresentazione del Sud che venne fatta (e soprattutto a opera di fuorusciti meridionali, al soldo dei Savoia) per giustificare l’invasione del Regno delle Due Sicilie.
L’Italia andava unita, perché la civiltà industriale, per sostituire quella agricola, dopo diecimila anni, aveva bisogno di stati nazionali. Si potevano fare meglio. Si scelse, spesso (come nel nostro caso), il modo peggiore. Ma mentre altri, pur malnati, poi seppero diventare un popolo e un Paese, nazione, noi no. L’Italia unita, come spiegava Indro Montanelli (ma non solo), non è mai esistita, per scelta politica al servizio dell’economia nordica. E ora i nodi vengono al pettine: o l’Italia si divide come conseguenza dell’Autonomia differenziata, o perché il Sud si è stufato di essere colonia.
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