LA STORIA DEI VINCITORI CANCELLA LA MATTANZA DI PONTELANDOLFO
Mi hanno appena mostrato il post di un docente universitario, Paolo Macry (che mai avrei pensato capace di affermazioni così rozze), in cui si dice che il generale Enrico Cialdini “aveva ragione” e fece bene a condurre la mattanza indiscriminata contro la popolazione delle Due Sicilie che non aveva voglia di cambiare re (se vi dicono i contrario, chiedete perché ci vollero tanti anni di guerra per far accettare il meglio al posto del peggio). Ma il generale, certo!, sterminava italiani “per fare l’Italia”, pur a costo di svuotarla di italiani ignari (il 99 per cento degli abitanti, costretti e non educati a volerlo e volersi reciprocamente, tanto che ancor oggi “non si pigliano”), indifferenti o proprio ostili. Cialdini è il boia di Pontelandolfo e Casalduni (massacro per rappresaglia, da parte di un esercito invasore, che la storiografia massonica vorrebbe ridurre a incidente domestico) e di tanti altri paesi e città del Sud; Cialdini (che si giudicò pure meritevole di busto commemorativo in marmo, ma per esserne sicuro dovette pagarselo) è il macellaio che, senza dichiarazione di guerra, seguitò a bombardare Gaeta durante la firma della pace, puntando sull’ospedale e sui soccorritori, come già aveva fatto contro Ancona, perché si era arresa non ai bombardatori da terra, fra cui lui, ma ai bombardatori da mare (l’ammiraglio Persano, che poi bombardò Palermo, nel 1866, ma scappò, con navi di ferro, a Lissa, dinanzi alle navi di legno di von Tegetthoff: eroici solo contro gli inermi e i civili questi terminator “padri della Patria”). A me mette i brividi, fa un po’ paura la gente che, a dirla con Napoleone Colajanni, per “fare l’uomo nuovo” (o “la Patria” che dovrebbe essere di tutti, ma bisogna farla come e quando piace a loro), trova giusto “eliminare almeno metà” di quello che c’è. È il modo di tutti i totalitarismi, delle idee che giustificano i crimini di oggi con quel che “ci sarà domani” (se vincono, se no restano crimini); è il modo delle politiche di potenza (i fondatori delle città greche del nostro Sud, di cui siamo fieri eredi, non si comportarono diversamente, spesso, con i popoli a cui si presentarono come ospiti invadenti. E i greci di Taranto, la mia città, furono fra i peggiori).
NE MANCANO 1.500: FAKE NEWS… DA DOCUMENTI DI STATO!
A Pontelandolfo, le vittime della rappresaglia sabauda furono solo 13, scrive Macry, non 1.500 “di cui parla Pino Aprile, con una fake news per drammatizzare una storia già di per sé cruenta e sobillare i neoborbonici”. Il post del professore è così sgangherato che sorge il dubbio non lo abbia scritto lui (davvero non sai cosa pensare, perché delle due possibilità, è difficile dire quale sia la peggiore). Non dico quel che mi attribuisce il prof, che o non lo ha letto e va per sentito dire, o ha letto e riporta male (vedi parentesi precedente). Ho scritto altro, che può sembrargli persino peggio.
In “Carnefici” cito i dati della “Statistica delle Provincie napoletane”, con il nunero di abitanti di Pontelandolfo pochi giorni prima della fraterna e patriottica mattanza sabauda: 5.747; e quelli del ministeriale “Calendario generale del Regno d’Italia”, che indica quanti fossero quattro mesi dopo la strage: 4.284. La differenza è di quasi 1.500. Chiedo che fine abbiano fatto. Avendo i fratelli d’Italia raso al suolo il paese con le fiamme, è comprensibile che chi non fu ucciso sia andato altrove. Ma suggerisco che, se paesi e città vittime delle amorevoli cure dei patrioti furono decine, anche da altri luoghi si siano dovuti trasferire, non potendo abitare le macerie. Chi si sposta da qui a là, però, non smette di esistere e al censimento (pochi mesi dopo i massacri che “prezzolati di regime”, diceva Gramsci, vogliono farci pure amare), non li conti più qui e li conti là, ma nel totale devo trovarli.
Qualche domanda, quindi, devi fartela se il ministro Giovanni Manna, nella relazione al re sul censimento 1861, poi approvata dal Parlamento, scrive che “nelle provincie che abbiamo appena conquistato”, per “la guerra”, han trovato 458mila persone in meno di quelle che dovevano esserci. Si sono confusi nel fare i conti? Allora prendiamo quelli dei padri della nostra demografia, Cesare Correnti e Pietro Maestri (pure gran maestri massoni: a loro potete credere, no?), i quali dimostrano che, in pochi mesi, con l’arrivo delle truppe sabaude, la popolazione nel Regno delle Due Sicilie diminuisce di 120mila, invece di crescere di una cifra prossima a quella, come per gli anni prima (peccato non ce ne abbiamo mai parlato gli storici, in un secolo e mezzo). Allora, facciamo che a Pontelandolfo non siano stati uccisi 13, ma che ne siano nati 13 in più (temo di aver dato un’idea a qualcuno), che fine hanno fatto tutti gli altri? E chi ha taciuto di tutto questo parla di fake news?
I “SABAUDISTI” E L’USO POLITICO DELLA STORIA
La nostra storiografia ufficiale nacque con il compito di adeguarsi alle convenienze politiche dei Savoia, tanto che i suoi autori furono chiamati “sabaudisti”. Lo racconta in “Politica e cultura nel Risorgimento italiano” Umberto Levra, già docente di storia risorgimentale all’università di Torino e presidente dell’Istituto di studi per la storia del Risorgimento. Questa sorta di commissariamento del passato includeva non solo nascondere i documenti scomodi, ma la loro distruzione, e lo faceva, a volte, il re in persona. Furono talmente tanti i rimaneggiamenti delle versioni “storiche” e le carte xeliminate, che non si potrà più ricostruire come andarono davvero le cose, secondo Levra (lo disse anche il direttore degli archivi militari, colonnello Cesare Cesari, che un secolo fa scrisse una nota storia della repressione del Brigantaggio postunitario).
Le famiglie “sabaudiste” (due-tre, che si passavano gli incarichi di padre in figlio, di suocero in genero…) governarono gli archivi, le biblioteche e le verità “ammesse” dal 1830 al 1920. Il metodo, sembra essere sopravvissuto, anche se il controllo della “versione antica e accettata” ha mostrato (e meno male!) falle sia in ambito accademico (poche ma molto interessanti, quasi decisive) che fuori: infatti la riscrittura delle favolette spacciate per storia (mille che con cento fucili sconfiggono decine di migliaia di soldati, tutti con fucile) è specialmente frutto di “revisionisti” non accademici; a quel punto, i cattedratici trasformano il termine in insulto, come se qualsiasi disciplina, e la storia prima fra tutte, non debba e non possa che essere revisionista!
IL PROF: SO CHE NON È COSÌ, MA NON POSSO DIRLO
Sul mio blog, un lettore ha appena scritto che alle sue obiezioni sull’immacolata concezione di Garibaldi, il suo professore diede conferma, ma “fuori” dalla scuola, dentro “doveva” dire altro. Era il 1965. Ed è l’ennesimo racconto di questo tipo. Misero Paese quello che deve mentire sulla sua storia. In cui dei docenti universitari dicono “Cialdini aveva ragione” a sterminare meridionali, facendo il tifo per il vincitore-macellaio, giudicando la storia, invece di raccontarla; e falsandola, per adeguarla al proprio giudizio o a una versione-che-deve-essere-quella!
Ripeto la domanda: che fine hanno fatto gli oltre 200 mila meridionali nei pochi mesi dall’arrivo dei fratelli armati d’Italia (120mila in meno rispetto a prima, cui aggiungere la crescita annua venuta a mancare)?
Scrivere 200mila volte: Cialdini aveva ragione, Cialdini aveva ragione, Cialdini aveva ragione, Cialdini aveva ragione, Cialdini aveva ragione, Cialdini aveva ragione, Cialdini aveva …
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4 Comments
Stelio de Luca
Buongiorno Pino. D’accordo sulla critica ad una storiografia totalmente supina da oltre 150 anni. Ma mi chiedo, se mancano all’appello circa 200000 meridionali, sono migrati? Sono stati massacrati? E se così fosse, non sono state mai ritrovate fosse comuni o tracce di esecuzioni di massa? Come fanno a scomparire tante persone senza uno straccio di testimonianze almeno tramandate verbalmente? Grazie. Stelio de Luca
Pino Aprile
Giusta domanda. Ma per trovare qualcosa, bisogna volerla cercare. Per esempio, racconto in “Terroni” che a Gaeta, durante i lavori per il centenario dell’Unità, nel rimuovere un monumento, scoprirono una fossa con almeno duemila cadaveri di soldati borbonici, civili, molti probabilmente pastori, mi diceva Antonio Ciano, che fu testimone oculare. Per la reazione popolare, le autorità rinunciarono a cercare ulteriormente, ricoprirono tutto e ci costruirono sopra una scuola. Quanto alle testimonianze, quelle che ci sono sono state ignorate o respinte. C’è un detto grecanico che cito spesso: thorì ecino pupai yereguonda, vede solo chi sta cercando
Maurizio FP
Confermo quanto riportato da Pino Aprile.
La citazione é interessante: “…Fino al 1960 esisteva in Gaeta, ove è- situata l’attuale palestra ottagonale della scuola media Carducci, tra Viale Napoli e Via Veneto, un monumento a forma tronco-piramidale, alto due metri e cinquanta, alla cui sommità vi era una croce di ferro alta un metro. La piramide era stata costruita con pietra bianca locale levigata…e ricordava al mondo le fucilazioni colà, eseguite dai piemontesi nei confronti dei partigiani meridionali, quasi tutti contadini ed operai che difendevano le loro terre e le loro fabbriche. In quel periodo erano in corso i
preparativi del centenario dell’unità d’Italia ed i festeggiamenti dovevano fare capo a Torino, Gaeta e Castelfidardo. A Gaeta era in costruzione il quartiere delle scuole pubbliche…; proprio dove adesso vi è la palestra ottagonale vi era la piramide che venne abbattuta per far posto al nuovo complesso. Gli operai che l’abbatterono si trovarono di fronte ad uno spettacolo orrendo: trovarono una fossa profonda dodici metri, venti di diametro piena di scheletri. Erario i resti dei partigiani e civili di idee borboniche fucilati dai piemontesi… scavando, trovarono del calcinaccio e scavando ancora a circa un metro dal basolato trovarono ossa umane per trasportare le quali nel cimitero di Gaeta gli operai comunali impiegarono un mese; si contarono circa 2000 scheletri. I duemila scheletri che indossavano pellicce di pecora, che calzavano ciocie, bisacce a tracolla, cappotti borbonici, i cui bottoni vennero tutti trafugati in quanto d’argento vivo con giglio borbonico. L’ultimo mezzo metro della fossa era impregnato di sangue, il sangue caldo che colava dai corpi dopo k fucilazioni sommarie. ( Antonio Giano, I Savoia e il massacro del Sud, Grandmelò, Roma, 1996, pag 198).
… Ho studiato in quella scuola negli anni ’80, ma solo un decennio dopo ho appreso quanto accaduto. Prima, dai docenti, nulla! A proposito di: <>
Pino Aprile
Già, a me questa storia la raccontò Antonio Ciano