E CREÒ PURE IL “SUO” SICILIANO, PER MONTALBANO
Perché ho timore di scrivere di Camilleri? Non ne sono sicuro, forse per non cascare in uno dei due rischi che vedo: dire banalità (facile per uno di quel livello) o scivolare in osservazioni che possano sembrare (da terrrone) se non razziste, almeno scioviniste.
Però, ci provo e mi scuserete. Almeno, mettiamola così, sarò breve.
1 – La sua grandezza è testimoniata da un dato inconfondibile (quando c’è, non servono conferme ulteriori): ha reso universale il suo paese. Qualunque cosa sia o possa diventare il suo paese, ormai, per tutti sarà Vigata. Tutti la conoscono e non esiste, perché è una sintesi dei luoghi di Camilleri, tutti veri, ma parti di luoghi diversi e sparsi (Porto Empedocle, più altro nei dintorni). Per dirla in sintesi: ha creato quello che c’era e ne ha fatto un posto immortale e immaginario. Minchia! (Per dirlo alla Camilleri).
2 – La sua grandezza è testimoniata da un dato inconfondibile (quando c’è, non servono conferme ulteriori: e siamo a due, quando ne basterebbe uno): ha inventato una lingua letteraria per raccontare il suo paese vero-immaginato. Il suo siciliano è una lingua che chiunque riconoscerebbe come siciliano, e che del siciliano ha suoni, richiami, alcune radici, parole intere, ma che in Sicilia non c’è. Come Vigata (un posto qua, un posto là e l’insieme è un posto che diventa uno e “vero” nei suoi libri), la sua lingua è una parola presa, una aggiustata, una costruita, una che recupera sonorità ed echi dal territorio, qui e là nell’isola, e diventa “il siciliano di Camilleri”. Ricordo che un altro grandissimo e semi-dimenticato poeta italiano, il lucano Albino Pierro, inventò una lingua a partire dai suoni del dialetto del suo paese, Tursi, per dare uno strumento originale alla sua poesia; questo lo portò alle soglie del Nobel per la letteratura (senza la vergognosa campagna di diffamazione scatenata da alcuni suoi colleghi, forse lo avrebbe ottenuto).
NEL BENE E NEL MALE, LA COMPLESSITÀ UMANA, DALLA TERRA DI SCIASCIA, PIRANDELLO, BUFALINO
3 – Le storie di Camilleri hanno radice antica: ogni persona-personaggio è un’anima complessa, i sentimenti sono quelli eterni che inducono al bene e al male, ma che, non importa in quale direzione dispieghino la loro potenza, contengono l’intera umanità con le sue contraddizioni insolvibili, con il male che nasce dal bene e il bene che può scaturire dal male. E chiediamoci, per capirlo meglio, perché la fonte di ogni indagine sulle nostre azioni e il nostro destino sia ancora quel mondo greco e mediterraneo, di cui la Sicilia è sintesi (e visto che ci siamo, chiediamoci pure per quale curiosa combinazione, una così piccola subregione dell’isola ci porti giganti come Pirandello, Sciascia, Bufalino, Camilleri…).
4 – Poi, a proposito della radice antica dei protagonisti di Camilleri: chi, raccontandolo al presente, butta luce su quello che sembra passato remoto (che ci portiamo dentro, ognuno da solo e tutti insieme, avendo molte risposte e nessuna che possa essere la sola o per sempre), butta luce sulla strada che abbiamo davanti. Soltanto sulla scorta di quello che è stato siamo in grado di immaginare quello che può essere, che sarà. Per questo sono così tanti i lettori giovani di Camilleri?
5 – Ogni grande autore ha una sua cifra; quella di Camilleri è la leggerezza (che si nasconde spesso dietro l’ironia) con cui si posa su cose profondissime, solo per spiarle, raccontarle, senza la presunzione di mutarle, giudicarle, perché i fatti contengono già il giudizio su se stessi. E su di noi.
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4 Comments
mirko
Tra le sue varie opere, Camilleri ha scritto La Strage dimenticata, ambientata nella Sicilia dei moti separatisti antinapoletani del gennaio 1848.
Racconta un episodio agghiacciante: il direttore di un carcere nei pressi di Girgenti, il maggiore Sarzana, per impedire che i 114 detenuti si unissero agli insorti li fece soffocare e bruciare vivi.
Sarzana non venne mai punito da Ferdinando II e dopo l’unità d’Italia passò ai Piemontesi che misero tutto a tacere.
Nel romanzo inoltre si racconta della strage di 15 braccianti dell’Isola di Pantelleria che sarebbero stati giustiziati per ordine dei locali latifondisti e dei loro servi mafiosi, pure nel timore che si unissero alla rivolta.
Cosa c’è di vero in queste storie?
Dove finisce la storia e comincia il romanzo?
Pino Aprile
Non conosco la vicenda meglio di Camilleri. Ma mi fido ciecamente di lui.
mirko
Comunque, senza voler affatto giustificare il crimine compiuto dal maggiore Sarzana, bisogna aggiungere per completezza che nella Sicilia di quei giorni caldi del 12-26 gennaio 1848, atti di atrocità furono compiuti da parte di ribelli siciliani verso i soldati napoletani catturati, e in genere verso sudditi fedeli ai Borbone.
E atrocità e crimini vennero commessi durante tutto il periodo in cui l’Isola fu indipendente tra gennaio 1848 e maggio 1849, tanto che, secondo lo storico Denis Mack Smith, in molti salutarono con sollievo la restaurazione borbonica guidata dal generale Filangieri.
A cui seguì l’amnistia decretata da re Ferdinando II per i reati sia politici che comuni, commessi durate il periodo indipendentista siciliano.
Il gesto criminale di Sarzana va inquadrato nel clima di terrore che pervase la Sicilia in quei giorni.
Pino Aprile
Certo; resta il fatto che persino chi si ribellava, non emigrava; dopo, invece…