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CONSEGNARE TARANTO ALLA LEGA O FARLA RINASCERE?

Ma addirittura la Lega no! Che Taranto umili se stessa sino a questo punto, no! Fra pochi giorni si andrà al ballottaggio per eleggere il nuovo governo cittadino e uno dei due candidati è leghista. E il resto del centrodestra, e il suo concorrente? Non voglio entrare nell’analisi degli schieramenti, dico solo che è inaccettabile consegnare la città alla Lega.

Guardi Taranto e quello che vedi mancare è un’idea grande per la città, una visione. E forse è un errore che fai, perché abiti altrove, lontano. E chi ci sta, deve viverci giorno per giorno, assorbito da problemi del “qui e adesso”, magari rivolgendosi alla politichetta del favore. Sarà anche per questo che non ci ho capito niente di queste elezioni (o non voglio capirlo), non conosco i candidati, gli equilibri economici che esprimono quella politica e quei politici. E quello che ne so, mi fa pensare che le cose sono più opache di quanto appaiano.

E, quindi, di che mi impiccio? Come vi pare, ma addirittura la Lega no! Anche se è una Lega che si nasconde, non si mostra con il suo nome e il suo simbolo. Fra le liste di sostegno ne vedo alcune che parrebbero inconciliabili con un partito nato contro il Sud e i meridionali (come dichiarato dai fondatori Bossi e Maroni) e che ha per segretario nazionale uno condannato definitivo per razzismo contro i napoletani. Ma proprio nome e simbolo della Lega sono assenti (salvo il furbesco richiamo al marchio di fabbrica coniato contro il Sud). So poche cose, ma una è questa: chi tace il suo vero nome, sa che non gli porta onore o anche solo vantaggio. Vorrà dire qualcosa o si vuole ancora far finta di niente?

È che sono tarantino e lo resto. Non abitarci più da mezzo secolo non mi fa sentire distante. Ho imparato ad amarla davvero la mia città, a capirne le possibilità non valorizzate, a mano a mano che il mio lavoro mi portava in giro per il mondo e facevo paragoni.

I suoi due mari avrebbero potuto e dovuto essere un motore economico alimentato dalla bellezza e dalla diversità. La sua miniera più trascurata, uno spreco inaudito!, è la sua storia, trattata e vissuta alla stregua di qualcosa di vecchio, quindi inutile. Come tutte le capitali cadute, a Taranto respiri il disincanto e la sensazione che “tanto, ormai”, nulla valga la pena. Come se l’avvertita impossibilità di tornare al livello perduto giustifichi lo scivolare sempre più in basso.

Taranto è terra persa, sacrificale, anche nelle analisi dell’Onu: l’acciaieria uccide tutto il resto, dal turismo all’agricoltura (davvero eroici quanti vi si dedicano con risultati persino clamorosi, almeno a distanza di sicurezza o presunta tale); i tarantini devono andare alla Corte Europea di Giustizia per veder riconosciuto il loro diritto alla salute, garantito dalla Costituzione e negato da governi di ogni colore. Taranto si svuota: da quando ci abitavo e lavoravo da giornalista a oggi, ha perso, in popolazione, l’equivalente di una città come Brindisi.

E la stessa acciaieria declina (o proprio precipita, dopo l’incendio dell’altoforno): nata quale traino per un grande futuro, stenta a garantire un presente (sia pure a quest’orrendo prezzo) e pare ogni giorno di più un insostenibile peso del passato di cui non sai se costi più liberarsene o tentare di tenerlo in piedi. Sempre che ne valga la pena.

Eppure Taranto ha spiriti e persone che hanno respiro largo e sguardo lungo. È la città che espresso i movimenti popolari per combattere l’avvelenamento industriale, difendere la salute, il lavoro sempre più scarso e più precario. Ha saputo saldare i sentimenti e le comunità sorte dal dolore e dalla speranza, nella fabbrica, nei quartieri, con le elaborazioni culturali e politiche dei suoi intellettuali, di alcuni illuminati imprenditori.

A voler sintetizzare: dal lento, ma ininterrotto lavorio per rivitalizzare la città vecchia senza snaturarla, alle esperienze teatrali del rione Tamburi, ai libri di Valentina Petrini e altri, al capolavoro di Michele Riondino, “Palazzina Laf”, Taranto non tace e si racconta a livello nazionale e internazionale. Ha prodotto cultura ragionando su di sé. Questo è un segnale enorme di vitalità. E sembrerebbe inventata quella consonanza fra operai fortemente critici, coraggiosi e coerenti (uno per tutti: Massimo Battista, eroe civile), cittadini consapevoli (vedi i “Liberi e pensanti”) e artisti, intellettuali; consonanza che ha portato alla nascita del Primo Maggio di Taranto: un fenomeno che viene sottovalutato scientemente, ma unico in Italia, per il significato di democrazia dal basso e la rilevanza.

Taranto c’è, ma non riesce ancora a tradurre questa sua forza e qualità in politica di pari livello. Nessuno si senta offeso: è un dato di fatto. C’è come un peso specifico di interessi di pochi e una trama di personale politico che gestisce equilibri di potere “come si fa ovunque e come si è sempre fatto”. Ma Taranto non rientra più nella grammatica valida ovunque e da sempre: è fuori norma la tragedia che la sta travolgendo. E non siamo ancora al peggio, se dovesse chiudere l’acciaieria (a me non dispiacerebbe veder riqualificata l’area, come accaduto nel distretto della Ruhr), senza che sia già pronta una alternativa per tenere in piedi le sorti della città.

Ci vorrebbe una visione che coinvolga tutti o quasi e non si ponga limiti (“Offende gli dei chi chiede loro troppo poco”). Non è più tempo di scaramucce di quartiere, mezze misure, cordate che cercano di escludersi a vicenda, volando basso. A chi volesse rispondere: ma è questa la politica, devo ricordare che Taranto rischia di ridursi a poco, quasi niente. Un prezzo che non si può pagare, mentre ha tutto per risorgere e lo ha dimostrato; deve solo riuscire a far cadere i muri interni.

Lo sanno tutti cosa è necessario: in nome della città, si dovrebbe trovare il coraggio e la saggezza di partorire un progetto ambizioso, gigantesco, di rinascita economica, culturale, urbanistica, ambientale, una intesa di programma oltre le differenze di parte e chiamando a realizzarlo chiunque abbia volontà e competenze. Ci sono occasioni, anche a livello ben più alto (vedi i governi di unità nazionale) in cui si fa. A Taranto si è visto il contrario, con entrambi gli schieramenti andare al voto in ordine sparso. Ci si divide per arrivare insieme alla sottomissione, diceva Goethe. E addirittura un candidato sindaco sostenuto dalla Lega! La Lega, per chi non vuol ricordare, è quella di “terroni di merda”, “topi da derattizzare”, “porci”, “Etna (o Vesuvio) lavali col fuoco”, più l’Autonomia differenziata per togliere al Sud pure le briciole. Consegnarsi a questi qua?

Il rischio è che Taranto sprechi la sua gente migliore e la poderosa spinta popolare che l’ha mossa in questi anni. Quindi ci rassegniamo? Mai. A volte, proprio nel momento più buio, la situazione e il ruolo fanno crescere per essere all’altezza dei compiti. E i caporali diventano buoni generali. Se non ci crediamo, non succederà.

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